Togethering, quando l’intelligenza collettiva si mette al lavoro

E se una delle soluzioni alla crisi fosse la “wisdom of crowds”, il sapere generato da network collaborativi? Quinto appuntamento, dedicato ai mercati che lavorano sul territorio e sui servizi, con la ricerca di GroupM.

logo_stepFWD_02Se si dovesse riscrivere la teoria sui “gradi di separazione”, oggi i gradi non sarebbero più sei ma tre, o anche meno. Sicuramente un numero di passaggi inferiore a quello che usano le filiere tradizionali per arrivare ai consumatori partendo dai produttori. Produrre idee, fare ricerca, sviluppare e testare prodotti, risolvere problemi, migliorare servizi, realizzare progetti culturali e di comunicazione sono alcune delle attività che fanno di TOGETHERING il trend (quasi un movimento) dei network collaborativi e non gerarchici. Tra i fenomeni più interessanti le monete e forme di pagamento nate in rete (social currencies) e i laboratori di co-creazione, collaborazione, condivisione tra cittadini, consumatori e aziende. E, ancora una volta, la creatività resta l’ingrediente segreto per creare valore aggiunto.

OBIETTIVI

Questo trend rappresenta il territorio ideale per quelle aziende che hanno bisogno di generare risposte, interazioni, scambi con la marca attraverso la nascita di piccoli gruppi o comunità – anche estemporanee. In particolare, Togethering offre numerosi spunti per spingere nuove modalità di consumo agendo a monte del prodotto (nelle fasi di ideazione e produzione), in mezzo (nella fase di ricerca di informazioni) oppure a valle (nel momento in cui si va a acquistare il prodotto, tipicamente il pagamento).

SVILUPPI COMUNICAZIONE

Nelle fasi più a monte si possono classificare le attività di marketing partecipativo nelle quali i brand coinvolgono i membri di una community per far testare e recensire i propri prodotti (es. sampling & tryvertising per ricerche di marketing – anche utilizzando punti vendita o altri luoghi fisici). Molto interessanti anche i contenitori spontanei di feedback (recensioni, testimonianze, etc.) oppure le raccolte di post, video, foto user-generated che mettono in scena i mondi dei brand (es. i board di Pinterest dedicati ai prodotti).

Infine, non sono da trascurare attività ad alto potere virale come il re-commerce (baratto di prodotti usati in cambio di sconti), il gift advertising che offre sampling in cambio di azioni e i social payment system (pay per tweet, pay per like, etc). In area più istituzionale si può sfruttare il potenziale delle fidelity-card trasformandole in trust-card per accumulare crediti, azioni, destinati alla raccolta fondi (es. per catastrofi naturali, attività di charity, etc.) con relativo stato dell’arte e rendiconto finale (crowd funding).

CASE STUDY

RETAIL, FASHION, SOCIAL MEDIA. I LIKE INVADONO IL NEGOZIO (Brasile)

C&A è un’azienda di abbigliamento nata in Germania, più precisamente a Vestfalia, nella metà dell’800. Nel corso degli anni, o meglio dei secoli, ha continuato ad aggiornarsi, leggendo in tempi rapidissimi i cambiamenti dei consumatori nelle modalità d’acquisto. Oggi è uno dei primi brand a fondere con successo le dinamiche tipiche dell’on-line alle pratiche del mondo reale, quello off line.

In Brasile, dove il marchio ha numerosi flagship store, il conteggio dei like di Facebook è stato integrato direttamente nelle grucce dei capi d’abbigliamento. Un piccolo schermo, integrato con il sistema Arduino, aggiorna in tempo reale il numero di apprezzamenti ricevuti da ciascun capo, presentato in un’apposita galleria fotografica di Facebook.

Le persone che fanno shopping possono così rendersi conto dei vestiti che risultano più apprezzati. In questo modo, soprattutto gli eterni indecisi, possono trovare un supporto ‘virtuale’, e in qualche modo un consiglio, dai fan di C&A, lasciandosi guidare nell’acquisto dai loro giudizi.

Con “C&A Fashion Like” la catena d’abbigliamento avvicina in modo creativo le due tipologie di clienti: quelli che utilizzano per gli acquisti l’e-commerce e quelli che tradizionalmente si recano direttamente in negozio per toccare con mano i prodotti.

On/off line, Facebook integrato nella quotidianità, consigli social

 

RETAIL, SOCIAL MEDIA. BITCOIN, LA MONETA DELLA RETE (Giappone)

Satoshi Nakamoto è il nickname di un anonimo studente giapponese che nel 2009 ha ideato i Bitcoin, la prima moneta peer-to-peer, nata e diffusasi in rete come strumento di baratto tra gli hacker. Generata dagli utenti – in gergo i “minatori” – attraverso un programma open source, bitcoin utilizza codici crittografati che legano indissolubilmente ogni moneta al legittimo proprietario che può spenderla solo una volta.

Da qui la sua prima caratteristica: l’impossibilità di falsificazione. Ma non è l’unica. Bitcoin si implementa grazie alla rete, le transazioni viaggiano da pc a pc senza intermediazioni. Non esiste, in pratica, un ente centrale, banca o autorità governativa che sia, che possa manipolarla o inflazionarla.

Chiunque, dunque, può comprare le bitcoin, tenerle nel suo portafoglio virtuale e utilizzarle per acquisti online. Grazie ai costi nulli, l’elenco delle imprese – soprattutto start-up – e liberi professionisti che le accettano è in continua espansione: siti per il giardinaggio, aste online, negozi virtuali di libri e videogiochi.

Allo stato attuale una bitcoin vale 3,8 Euro circa e il valore complessivo generato dalle sue transazioni si attesta oggi intorno ai 32,6 milioni di Euro. E se così stanno le cose, la diffusione di questo nuovo concetto – social – di moneta potrebbe avere sul sistema finanziario lo stesso effetto dirompente che il web 2.0 ha avuto sull’editoria.

 

FOOD, BEVERAGE. OUT OF HOME. PAGARE CON I TWEET (CapeTown)

Bos Ice Tea, azienda che produce bevande in lattina, ha installato a Città del Capo, in Sud Africa, BEV, un distributore automatico che non funziona con monete, ma con i tweet. Un micro-post fatto con Twitter in cambio di tè è, in estrema sintesi, il suo modello di business. Per ottenere una lattina di tè freddo basta avvicinarsi con il proprio smartphone o tablet e scrivere un post su Twitter usando l’hashtag indicato da BEV. Invece di pagare con 1,40$ si paga con 140 caratteri.

È importante che siano attivi i servizi di geolocalizzazione, perché un software installato nella vending machine controlla l’intera lista dei tweet con l’hashtag prescelto e quando ne trova uno inviato da una posizione vicina, eroga la bevanda.

Il pay-with-a-tweet, nato come economia di scambio per contenuti digitali (per scaricare un documento o partecipare a un contest) trova così la sua declinazione nel mondo dei prodotti, con quest’idea dell’agenzia Cow Africa.

Una strategia di marketing non convenzionale che crea un continuum tra dinamiche social on-line e mondo fisico.

Sample in cambio di micro-promozione, pay-with-a-tweet, on/off line

 

 

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Togethering, quando l’intelligenza collettiva si mette al lavoro ultima modifica: 2013-02-28T14:27:46+01:00 da Redazione

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