Pubblicati i risultati della ricerca condotta da Omnicom Media Group insieme ad Ainem (Associazione Italiana Neuro Marketing), Ipsos e Nielsen, che sarà alla base di un nuovo approccio alla pianificazione media
Non esistono mezzi migliori, ma solo strategie migliori che individuano i mezzi e i formati più adatti in base all’attenzione sufficiente e necessaria a raggiungere gli obiettivi a cui mira l’azienda.
Partiamo dalla chiave di lettura finale per affrontare i risultati della ricerca ‘Beyond Visual Attention’ – presentati ieri a Milano – promossa da Omnicom Media Group con Ainem (Associazione Italiana Neuro Marketing), Ipsos e Nielsen, la prima in Europa a integrare machine learning, AI e neuroscienze per misurare l’attenzione agli stimoli pubblicitari, in un contesto dove l’overload informativo è la norma e in cui l’attenzione che si finisce per dedicare ai messaggi pubblicitari è limitata. Monumentale la quantità di dati raccolti, circa 3 terabyte, con una quantità notevole di variabili (device, ambiente, attività svolta, creatività…) che influenzano sensibilmente la durata dell’attenzione, oggi integrati negli strumenti di planning e buying di OMG.
L’approccio di ‘Beyond Visual Attention’ è partito dunque dalla ricostruzione delle componenti dell’attenzione includendo non solo quella visiva (rilevata con eyetracking) ma anche della mente (rilevata con EEG – elettroencefalogramma) e del corpo (tramite GSR – Galvanic Skin Response) indagati grazie allo studio di Ainem.
Misurare l’attenzione nella vita vera è stato invece il contributo di Ipsos, che è entrata nelle case dei partecipanti allo studio con dei dispositivi posizionati presso la tv e dentro smartphone e tablet, studio che ha fatto emergere delle differenze notevoli sulla durata dell’attenzione visiva: in media si vedono 9,8 secondi delle pubblicità in tv e soli 2,3 secondi delle pubblicità sul digital.
Essendo la ricerca single source, è stato possibile confrontare mezzi e formati. «Bisogna sempre interrogarsi sulla situazione che lo spettatore sta vivendo» sottolinea Nora Schmitz, Head Audience Measurement & Media Dev Ipsos. E anche se manca la componente visiva, non bisogna sottovalutare l’impatto sul ricordo dell’attivazione della mente e del corpo. Ad esempio, accade che nell’ambiente gaming – esperienza altamente immersiva – la pubblicità non venga percepita come tale ma come elemento organico al gioco. In questo caso la consapevolezza visiva è azzerata ma l’impronta emotiva è talmente sollecitata che il tasso di ricordo spontaneo cresce addirittura del 20%.
Lo zapping inoltre viene utilizzato meno di quanto si pensi per sfuggire alla pubblicità in tv. In particolare, i break tra programmi diversi vengono interrotti dal cambio canale solo da una persona su 4, mentre quelli all’interno dello stesso programma da una persona su tre (23% vs 34%). Lo zapping non è poi l’unica forma di ad-avoidance in tv: quando non si cambia canale una parte importante degli spettatori si alza o rimane di fronte allo schermo ma distoglie lo sguardo, magari per guardare il cellulare. Durante i break interni al programma, il 43% le persone che non fanno zapping distolgono gli occhi dallo schermo, mentre nel caso di break tra programmi diversi la percentuale di chi distoglie lo sguardo è più alta (52%).
Su mobile vediamo che su YouTube, ad esempio, il 68% delle adv skippabili viene effettivamente saltata prima della sua conclusione, e lo skip avviene dopo mediamente 9 secondi di adv visibile. Ma se si analizza cosa succede con i formati non skippable ci si rende conto che a una maggiore durata dell’adv visibile non corrisponde una maggiore attenzione visiva. «Obbligare lo spettatore a guardare la pubblicità può infatti non pagare» commenta Catarina Sismeiro, Managing Director, Annalect (OMG).
Anche il formato audio ha confermato che, in termini di attenzione, la pubblicità in questo ambiente è altamente performante dal momento che perde solo il 2% rispetto al video. Rispetto all’efficacia dell’audio, lo studio ha anche evidenziato che 1 persona su 5 ricorda una pubblicità passata in tv anche se in quel momento non stava guardando lo schermo.
L’impatto dell’attenzione sul ricordo della pubblicità prende in esame tre componenti. L’attenzione visiva è la metrica con il maggior impatto sul ricordo (79%), la probabilità di ricordo spontaneo cresce al crescere del tempo di esposizione all’adv, ma non in maniera lineare. Formati tv e video dominano infatti il ricordo e un brand visto in tv è più ricordato rispetto ad uno visto su mobile nell’ordine di 3:1, allo stesso modo il ricordo di un brand visto in video su mobile è 2 volte superiore rispetto ad un formato statico. L’attenzione della mente ha anch’essa un impatto significativo sul ricordo (19%) mentre quella del corpo ha una influenza sul ricordo ma con livelli più bassi (2%), anche se la probabilità del ricordo cresce significativamente solo con livelli molto alti di coinvolgimento emotivo (come abbiamo visto nel caso del gaming).
Tre gli insegnamenti chiave: 1) mezzi, formati e ambienti di fruizione media sono associati a livelli di attenzione molto diversi, il dato medio spiega poco e bisogna andare ad approfondire ogni singolo caso con le rispettive variabili; 2) tutte le metriche di attenzione aiutano a spiegare i risultati della comunicazione, considerato ricordo ed emozione generata; 3) considerando logiche di business più ampie è consigliabile parlare di ottimizzazione e non di “massimizzazione dell’attenzione”, adattandosi a quella che lo spettatore è disposto a dare.
“Il lavoro svolto in questi mesi ci ha permesso di continuare ad esplorare le dinamiche attenzionali per trarne insegnamenti che cambiano la nostra prospettiva alla comunicazione e quella dei nostri clienti. Non ci sono media che funzionano meglio di altri ma ci sono strategie che vanno riequilibrate in funzione dell’attenzione che i brand vogliono ottenere in base ai loro diversi obiettivi, in un contesto di preoccupante overload cognitivo a cui tutti siamo sottoposti” ha concluso Marco Girelli, Ceo di Omnicom Media Group.
F.B.
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