Rispettabili brand come Mercedes-Benz, Honda, Waitrose, Marie Curie e Sandals Resorts che vanno ad arricchire involontariamente jihadisti – vedi l’immagine sotto tratta da un video di YouTube -, neo nazisti, suprematisti bianchi e tenutari di siti pornografici.
Succede, se la blacklist del programmatic ad network è un colabrodo. E se ad accorgersene è il Times ne esce un’inchiesta che ha creato scandalo e molto imbarazzo tra i big della pubblicità digitale.
Tuttavia è solo l’ultimo capitolo della saga che vede le aziende sempre più decise a pretendere su più fronti – non solo quello della brand safety – le giuste garanzie da agenzie e network programmatici che la propria comunicazione finisca veramente dove richiesto.
Molto è stato fatto finora, ma l’inchiesta del quotidiano britannico conferma che c’è ancora una discreta anarchia e, in sostanza, nessuna garanzia.
Commentando il caso Robert Thomson, ceo di News Corp. ha annunciato l’intenzione di lanciare un ad network privato “contro le metriche opache di molte piattaforme digitali”.
La reazione dei brand interessati non si è fatta attendere. Jaguar Land Rover ha comunicato di aver sospeso tutte le proprie campagne digitali in Uk e di aver avviato un’indagine insieme alla propria agenzia media Mindshare per capire la falla nella tecnologia algoritmica utilizzata per la distribuzione della pubblicità sui siti di video sharing, aggiornare le blacklist ed evitare che in futuro il brand appaia accanto a contenuti “inappropriati”.
Una campagna per la Jaguar F-Pace era infatti apparsa all’interno di un video di YouTube che inneggiava all’Isis con oltre 115mila views, ora rimosso. Purtroppo il brand era in buona compagnia: lo stesso contenuto ha ospitato involontariamente anche annunci per la Mercedes Classe E.
