La nuova edizione del report ‘State of Video’ di GroupM mette in luce le tendenze dell’universo video, cosa sta cambiando per gli operatori tradizionali e cosa offrono le nuove piattaforme, tra modalità di visione sempre più on demand e funzionalità addressable
A distanza di un anno, non è cambiato tantissimo lo scenario video: “più o meno lo stesso, ma uno stesso diverso”, così dice il report ‘State of Video’ di GroupM che esplora l’evoluzione internazionale della fruizione video, analizzandone le nuove tendenze, i player emergenti e lo sviluppo dell’offerta advertising.
Succede infatti che la tv lineare prosegue con il modello consueto, le sue audience si riducono per la concorrenza delle nuove piattaforme che saturano ogni possibilità di crescita e non emergono nuovi format pubblicitari che segnino un’evoluzione. Tuttavia la tv lineare è tutt’ora percepita come il mezzo più efficace, anche senza il supporto di misurazioni granulari. Anche in Italia, paese Tv-centrico, stanno cambiando le abitudini di consumo video a favore dello sviluppo del digitale, di contenuti video sempre più premium e di player che favoriscono la user experience.
Quel che è certo, dicono nell’introduzione i curatori dello studio Adam Smith, Futures Director di GroupM, e Rob Norman, Senior Advisor, è che – a livello di planning – cambierà realmente qualcosa nella televisione lineare solo quando questa sarà in grado di proporre una currency basata su audience evolute, mettendo in secondo piano le pur importanti metriche attuali.
La misurazione si conferma un tema cardine soprattutto in un contesto, come quello attuale, in cui la visione video è frammentata su diversi device: l’industry deve continuare a lavorare per risolvere il gap di misurazione e per migliorare la comprensione dell’audience declinata su tutti gli schermi.
L’addressable tv sta inoltre emergendo ma non è ancora diffusa su larga scala. Tuttavia i megamerger avvenuti nel corso dell’anno – Disney e 21Century Fox, Comcast con NBCU e Sky, At&T e Time Warner – potrebbero accelerare il cambiamento. Soprattutto le integrazioni verticali tra contenuti e distribuzione potrebbero creare cambiamenti significativi rispetto a come i contenuti vengono distribuiti nelle case servite. Se tutto ciò si realizzerà e se queste società riusciranno a rendere la loro inventory totalmente addressable sulle loro piattaforme verrà realizzata la promessa di una tv più efficiente, targetizzata e molto più simile ai media digitali.
Media digitali, appunto. Come non parlare di Amazon, Facebook, Netflix e YouTube che si confermano la sfida più impegnativa per le tv tradizionali. Tra gli operatori sostenuti dalla pubblicità, YouTube spicca per la mole di contenuti premium non tradizionali. Facebook e Amazon hanno iniziato a competere nell’acquisizione dei diritti sportivi. Il primo in particolare gioca un ruolo speciale nel futuro del mondo video, anche se è ancora presto per valutare il successo della sezione Watch, mentre il secondo con Netflix hanno speso insieme nel 2018 circa 18 miliardi nella creazione e acquisizione di contenuti.
La concorrenza con piattaforme ad-free sta inoltre spingendo alcuni editori Usa a ridurre il carico di pubblicità per rendere la visione meno interruttiva per gli spettatori, opzione recentemente varata da NBC Universal, TNT, Viacom e Fox. Una seconda soluzione potrebbe essere quella di privilegiare gli spot da 15 secondi rispetto ai 22 (media europea) e ai 30 (media Usa) che, segnala una ricerca di Nielsen, se usati nel modo giusto non diminuirebbero l’efficacia della comunicazione.
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