Dopo Giuseppe Pavone (qui), Francesco Guerrera (qui) e Francesco Poletti (qui), prosegue con Michele Mariani, Executive Creative Director Armando Testa, la riflessione dei direttori creativi sul loro rapporto con l’AI, sugli esperimenti fatti, i limiti etici, il governo dell’intelligenza artificiale e come immaginano l’agenzia del futuro.
Qual è il tuo rapporto con l’AI?
Come tutti i creativi, ho vissuto negli ultimi mesi sensazioni contrastanti. Da una parte, l’eccitazione e l’euforia per una tecnologia che rende possibile tutte le nostre perversioni creative, dall’altra il bisogno di capire un mezzo radicalmente nuovo e il rischio che l’AI arrivi a fare qualcosa che non riusciamo a immaginare, in modi che non saremmo in grado di controllare e seguendo criteri che non condividiamo.
Ogni innovazione tecnologica evoca le stesse ansie e le stesse critiche. Le aspettative eccessive e le eccessive paure nei confronti della tecnologia sono da sempre parte di questa delicata relazione. È già successo in passato. Storicamente, ogni nuova tecnologia, dall’illuminazione elettrica alle automobili, dalla radio a internet, ha scatenato una sorta di panico sociale. L’esperienza però ci ha insegnato che piano piano tutte le innovazioni diventano sistema e quando l’hype mediatico si abbassa, le novità tornano a essere, semplicemente, dei meravigliosi tool al servizio del nostro lavoro.
Per questo non credo che l’AI ucciderà il mondo, prendendo tutti i nostri posti di lavoro, permettendo alle persone cattive di fare cose orribili. Penso che, alla fine, molto più semplicemente l’AI consentirà alle persone di essere più produttive.
E quello del tuo reparto?
Tutti i creativi sono stati contagiati da questa rivoluzione. E dalle potenzialità che l’AI sta mettendo sui nostri tavoli di lavoro. Uno tsunami di possibilità, stili, visioni, contaminazioni, in tutti i territori della sperimentazione artistica. Una capacità nuova di generare immagini e testi. Una vera e propria epifania creativa.
Hai (avuto) resistenze? Entusiasmi? Opportunità o minaccia?
Non ci sono state resistenze, tutti hanno capito abbastanza in fretta che questa rivoluzione tecnologica sta arrivando con una grande forza e che avrà un impatto clamoroso sul nostro lavoro. E che non serve mettersi in posizioni rigide di difesa. Questa rivoluzione va assolutamente accompagnata, gestita e incoraggiata. Altrimenti la sconfitta è sicura. Il vecchio Darwin continua ad avere ragione: “Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.
Su cosa e come l’hai sperimentata?
Sono già tanti i terreni in cui sperimentiamo l’AI, senza ovviamente rinunciare al contributo creativo. L’AI può diventare un preparatissimo e disponibilissimo assistente seduto al tavolo dei creativi, e il suo contributo può avere mille sfaccettature. Dalla ricerca iconografica alla produzione di visual, dal product design allo studio dei character, dai moodboard esplorativi fino agli storyboard definitivi, dai testi più commerciali ai contenuti editoriali, dalle ricerche di mercato fino all’approfondimento del brief.
Immagini o testi, cosa funziona meglio?
Avendo una formazione da art director sono più colpito dalle potenzialità visive e visuali dell’AI generativa.
Come si governa l’AI in un reparto creativo?
L’invito è quello di andare a conoscere a fondo questi nuovi sistemi. Per aumentare competenza, e scoprire nuove relazioni e opportunità. Il nostro lavoro è sempre stato guidato da piccole ossessioni. Noi art director della vecchia generazione ci potevamo appassionare in modo morboso per un font tipografico, oggi consiglio ai ragazzi di appassionarsi allo stesso modo per un algoritmo, o per la stesura di un ‘prompt’ efficace. Consiglio loro di parlare con l’AI, di giocare, di capire a fondo i suoi processi. Per poi cercare di superarla così da trovare un proprio stile e una propria direzione creativa.
E con i clienti?
Sul fronte cliente non c’è ancora un feedback consolidato. Tra un po’ di tempo anche per loro sarà più chiaro capire quello che possono ottenere da questa tecnologia e quello che devono imparare a chiedere ai creativi. Lo sviluppo dell’AI generativa avrà un impatto sicuro sui budget di produzione, e anche la variabile tempo sarà importante in questo senso. Già ora i clienti tendono a comprimere i tempi, speriamo che lo sviluppo dell’AI non peggiori questa situazione.
Quali sono i limiti etici?
I limiti etici sono tanti. Ovviamente riguardano i diritti d’autore, la proprietà intellettuale e, in una scala più grande, la difficoltà sempre maggiore di distinguere quello che è vero da quello che è fake. Su questo campo la legislazione sta camminando più lentamente della tecnologia, ma anche in questo caso sono fiducioso e credo che sicuramente il potenziale dell’AI sarà regolato e gestito in modo più attento di quello che succede ora.
Come fai a stare dietro a tutte le novità?
Non è semplice, soprattutto per chi come me non ha una passione travolgente per le nuove tecnologie. Non credo che dobbiamo diventare necessariamente tutti nerd, credo che invece dovremmo essere molto bravi a leggere il frame più grande, capire come dare valore alla nostra professione, come aumentare il livello delle nostre competenze, come governare i nuovi flussi per essere ancora rilevanti nei processi di comunicazione. Viviamo nella cultura dell’immagine, abbiamo prodotto miliardi di di immagini era normale che venissero utilizzate per qualcos’altro.
Avete strutturato un processo per la sperimentazione dei nuovi strumenti?
Stiamo facendo formazione internamente, chi è più preparato mette la sua conoscenza al servizio degli altri, e contemporaneamente stiamo cercando di fare formazione in maniera verticali sui nuovi corsi che preparano questi nuovi profili. Senza rinunciare al primato della creatività, sappiamo benissimo che in un futuro molto vicino le agenzie dovranno avere figure professionali che oggi non esistono. Il ‘prompter’ sarà sicuramente una di queste.
Come immagini l’agenzia del futuro alla luce dell’AI generativa?
Immagino che l’AI possa velocemente sostituire la parte più meccanica e ripetitiva del nostro lavoro, liberando energie preziose. Ma sono convinto che non basterà l’AI per garantire nuove idee. Serviranno ancora più coraggio, volontà, passione e creatività per fare qualcosa di nuovo. Il computer non ha pancia, non ha coraggio, non ha cuore. E ha ancora bisogno del nostro contributo. L’AI non ci ruberà il lavoro se saremo in grado di coltivare quello che ci distingue da una macchina, l’ascolto delle persone, l’empatia, l’emozione, l’ironia.
Lessons learned?
Questo testo non è stato scritto con l’AI. 🙂