Il report “Fanverse! – The Fashion Code” analizza il rapporto tra persone e brand della moda

Una volta si chiamavano fashionisti ed erano caratterizzati da un’adesione integrale, passiva e un po’ acritica a una marca o un designer. Ora fandom e community stanno trasformando il rapporto tra persone e brand in modo radicale, con i fan che diventano essi stessi creator e protagonisti culturali, gli acquisti vengono influenzati da identità, passioni, appartenenze e la moda smette di essere imitazione e diventa espressione di sé. In pratica non si è più fan della moda in sé, ma di ciò che essa permette di esprimere.
Questo lo scenario presentato da “Fanverse! – The Fashion Code”, seconda edizione, dopo il food, dell’osservatorio annuale di Hello che analizza come cambiano i comportamenti delle persone attraverso i fandom. Basato su una survey quantitativa sottoposta a 750 fan italiani, a cura del Gruppo Bilendi, e una serie di focus group organizzati dal team dell’agenzia, lo studio è stato presentato con un webinar a cui hanno partecipato per Hello Aziza Ibrahim Ahmed, research & insight director, e Francesco Iacobacci, art director supervisor, con Giuliana Matarrese, fashion editor at large di Rivista Studio, Andrea Corona, ceo e founder del brand Propaganda, Giada Anforini e Chiara Vaggi, co-fondatrici dell’account Instagram TeLoTrovoSu, con cui propongono ai follower una selezione dei tesori che si possono trovare sulle piattaforme second hand come Vinted e Vestiaire Collective.
Lo stile non è più quello di una volta. L’ha confermato Corona spiegando che lo stile non ha tanto a che fare con un brand, quanto con coerenza e identità culturali, è un’attitudine personale a dispetto di ciò che si indossa, e non ha nulla a che fare con l’appropriazione di fenomeni e sottoculture del passato, come capita di vedere spesso da parte di brand consolidati. Riguardo al proprio brand, Propaganda, “nasce dall’esigenza di raccontare ciò che ami con ciò che indossi”.
Il fandom di stile non vede più le persone cercare modelli da imitare, ma strumenti per esprimere sé stessi, un linguaggio attraverso cui comunicare la propria identità e community affini in cui riconoscersi. Non contano tanto singole estetiche o trend, ma si partecipa a community basate su valori, narrazioni e pratiche condivise, che rendono lo stile uno strumento di espressione personale e al tempo stesso collettiva.
Il fandom genera a sua volta i trend della moda: la collezione di Louis Vuitton ispirata al mondo western trova le sue radici nel successo della serie tv Yellowstone che aveva spopolato anni prima e nella musica, vedi l’album di Beyonce in stile country, spiega Matarrese sottolineando l’intreccio tra moda e cultura pop.
I dati dello studio mostrano come le persone vogliano sentirsi protagoniste del proprio stile, non spettatrici delle tendenze. Il 59% dei fan italiani vive la moda come uno spazio di sperimentazione creativa, non come un insieme di trend da seguire; il 71% acquista second-hand, segnalando una ricerca di originalità, circolarità e significato; il 60% sceglie brand che dimostrano impegno etico e sociale reale; il 77% non è fedele a nessun creator, perché oggi conta più il contenuto autentico e ispirante che il nome di chi lo propone; il prezzo di un capo non fa più status, mentre conta essere riconosciuti come esperti o aggiornati nelle community.
Interessante il rapporto tra stile e risorse second hand. Al di là del prezzo conveniente e delle tematiche ambientali, ciò che attrae maggiormente nella seconda mano è che restituisce quell’unicità, quel piacere della ricerca annientata dall’omologazione insita nel mercato della prima mano, spiegano Anforini e Vaggi.
“La seconda mano è una risposta a una domanda inevasa di unicità, contro la sovrastimolazione che ci arriva dai social e ci fa riempire l’armadio con cose che non ci rappresentano” dicono, aggiungendo che confrontarsi con la qualità capi prodotti decenni fa e ancora in perfetto stato ti fa interrogare sul valore dei prodotti nuovi, venduti a prezzi ormai improponibili per i più e dalla qualità non all’altezza.
La rivolta verso questa esclusività escludente, aggiunge Matarrese, fornisce anche ottimi spunti ai fandom. L’esempio perfetto è quello del creator Lyas che, rimbalzato da Dior in occasione della prima sfilata di JW Anderson, ha organizzato un watch party in un bar a Parigi invitando la community a partecipare e a commentare la sfilata tutti insieme.
L’evento è stato un successo incredibile, tanto da diventare un format. «La gente non vedeva l’ora di incontrarsi con i propri simili per chiacchierare insieme di moda. L’evento, che permetteva di accedere a un evento a cui non poteva partecipare nessuno, ha favorito la comunità contro l’esclusione».
@ly.as0 dIOR watch party Friday 27th 2pm-4pm (Show starts at 2:30) Le Saint Denis 21 Rue du Faubourg Saint-Denis 75010 Paris France
I brand si trovano dunque davanti a una trasformazione che richiede loro un cambio di ruolo: non più creatori di tendenze, ma abilitatori di espressione personale, attivatori delle community e promotori di significato culturale.
“Il fandom di stile non è una tendenza effimera: è un nuovo modo di vivere la moda, partecipativo, valoriale e profondamente identitario, in cui le scelte estetiche diventano dichiarazioni culturali e strumenti di riconoscimento reciproco”, commenta Sara De Mattia, Managing Director di Hello. “Per i brand questo significa ripensare radicalmente il proprio ruolo: non più generatori di trend top-down, ma abilitatori di espressione, capaci di leggere i codici delle community, valorizzarne le passioni trasversali e costruire esperienze che parlino alla loro cultura — non solo al mercato. In un panorama in cui lo stile è il nuovo fandom, la rilevanza nasce dall’ascolto, dalla co-creazione e dalla capacità di entrare in dialogo autentico con le persone”.
F.B.
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