Incertezza economia e instabilità geopolitica stanno certamente impattando sul mercato pubblicitario, ma per Magna il ridimensionamento delle stime ha anche altre ragioni: l’abbassamento della crescita del PIL globale dal +4,9% al +3,6% secondo l’FMI e le crescenti restrizioni al targeting nella pubblicità digitale.
Il mercato pubblicitario avrebbe dovuto comunque rallentare rispetto al 2021, il cui risultato era pompato da un “allineamento planetario” di fattori irripetibile come la ripresa a V dell’economia e la ripresa degli stili di vita dopo la pandemia.
Le cause di cui sopra hanno portato la divisione di ricerche e investimenti media di Interpublic ad abbassare le sue stime dal +12% al +9,2% (comunque sopra il livello pre-covid che si aggirava intorno al +7%), con un valore di quasi 828 miliardi di $, ovvero il 32% in più rispetto al 2019.
La media è frutto del diverso andamento delle varie regioni, con il Nord America che cresce di più (+11%) seguito da Latam (+10%), Apac (+8%) ed Emea (+7,5%). Nel 2023 il mercato pubblicitario dovrebbe invece crescere del 6%.
Il downgrade sarebbe comunque stato più brusco se non fosse per un primo trimestre più forte del previsto registrato nella maggior parte dei mercati – in testa gli Stati Uniti con un +14% – e gli eventi ciclici come le elezioni di medio termine negli Stati Uniti (che portano quasi 7 miliardi di dollari alle emittenti televisive locali e ai media digitali), le Olimpiadi invernali di Pechino e i Mondiali di calcio in Qatar, a novembre.
A spingere in su la domanda di pubblicità contribuiscono la competizione tra i brand per guadagnare la leadership in alcuni segmenti verticali guidati da nuovi stili di vita o cambiamenti delle normative (scommesse sportive, food app, brand direct-to-consumer) e dalla maggior richiesta di digital advertising da parte delle PMI e brand consumer, spostando i budget dedicati al BTL.
La maggior parte dei settori merceologici vivrà una stabilizzazione dei budget, con Travel, Entertainment, Betting e Technology i comparti che crescono di più, mentre Automotive e CPG/FMCG saranno ancora sotto pressione a causa dell’aumento dei costi e dalle interruzioni della supply chain.
L’area Emea è quella che più di tutte sta scontando la crisi scatenata dalla guerra dalla Russia in Ucraina ma alle difficoltà contribuiscono anche i problemi alla supply chain e il rallentamento delle importazioni della Cina.
L’Italia in particolare patisce questa situazione e, dopo il boom del +18,5% del 2021 e la stima per il 2022 di una crescita dell’11% formulata a dicembre, vede ridursi la crescita al +3%. Insieme al nostro paese, Germania e Svezia sono i paesi che soffrono di più l’economia di guerra.
I media tradizionali (TV, radio, OOH, stampa, cinema) cresceranno del +4% a 282 miliardi di dollari, con l’Out of home in vistoso recupero (+10%) seguito da Audio e Televisione (entrambi +4%) ed Editoria (-3%), ma senza gli eventi ciclici la crescita sarebbe solo del 2%. Le estensioni digitali dei media tradizionali cominciano ad avere un peso significativo e in alcuni mercati stanno già contribuendo al 10% del totale dei ricavi tv, al 20% nell’audio, al 50% nell’editoria. La TV continua a risentire dell’erosione della reach e della visione lineare ma il fenomeno è compensato dai ricavi Avod in crescita, dall’aumento a due cifre del costo del CPM e dall’aumento dei prezzi in occasione di elezioni, Olimpiadi e Mondiali.
Il digitale cresce del 13% e raggiunge una quota del 65% del totale del mercato pubblicitario. Il video è il formato che cresce di più (+16%) seguito da search (+15%) e social (+11%). Interessante il rallentamento del social (+18% nelle stime precedenti) dovuto a una combinazione di fattori: saturazione del parco clienti, saturazione dell’audience e restrizioni al targeting, che sta impattando principalmente Meta e Snap.