In occasione di IAB Interact la holding media che fa capo a WPP ha presentato il proprio punto di vista internazionale sulla brand safety e le implicazioni per il mercato italiano
Anche il mercato italiano della pubblicità digitale sta raggiungendo la fase di maturità: secondo stime GroupM vale 2,2 miliardi di euro, pari al 28% di quota di mercato, e inizia a prendere in considerazione il tema della qualità e della sostenibilità. In occasione di IAB Interact la holding media che fa capo a WPP ha presentato il proprio punto di vista internazionale e le implicazioni per il mercato italiano nel quadro di un’attività di ‘educational’ sui principi e le regole che tutelano la brand safety.
A questo riguardo Federica Setti, Chief Research Officer, e Fides Tosoni, Chief Digital Transformation Officer, di GroupM Italia hanno sottolineato come – almeno per quanto riguarda il gruppo -questo fenomeno in Italia sia limitato rispetto ad altri paesi, grazie all’adozione di pratiche e tecnologie per garantire una inventory di qualità, all’uso prevalente dei private deal in programmatic e di formati pubblicitari non intrusivi e dal contenuto nativo.
“Secondo i nostri benchmark 2017, misurati con strumenti di ad verification IAS e Moat, l’ad fraud in Italia è pari allo 0,7% e la brand safety raggiunge il 3,6%”, ha spiegato Setti sottolineando però come sia importante continuare a non perdere di vista questi fenomeni e lavorare per migliorare la user experience.
Anche il fenomeno dell’ad blocking nel nostro paese non è così rilevante come in altri mercati dove raggiunge tassi di adozione tra il 20 e il 30%, ma è bene sapere che viene adottato come ‘difesa’ dal sovraffollamento pubblicitario. La ricerca di una ‘clean adv’ ha però implicazioni che riguardano un aumento dei costi, perché le inventory di qualità hanno prezzi maggiori, e la necessità di ripensare il trattamento creativo, anche ma non solo della video adv, ha avvertito Setti.
Qualità, rischi e misurazioni. John Montgomery, Executive VP per la Brand Safety di GroupM, ha sottolineato la visione internazionale del gruppo e quali strumenti adottare per ridurre i rischi.
Il primo è la consapevolezza degli investitori: i grandi spender, da P&G a Vodafone e Unilever sono in prima fila nella battaglia per una maggiore sostenibilità della filiera, il problema riguarda però più da vicino tanti altri di dimensioni minori che ancora non valutano correttamente i contesti di scarsa qualità.
“Finché continueranno a cercare efficienza economica attraverso il prezzo più basso continueranno a esporsi a rischi”, ha detto Montgomery ribadendo che il CPM “è una misura statistica irresistibile per molti clienti” ma che questo comporta un rischio più alto di ad fraud e brand safety.
Montgomery ha annunciato che tra i KPI del 2019 GroupM avrà più ricerche che provino il rapporto tra la qualità dell’adv e le sue migliori performance, ribadendo l’importanza di pagare correttamente i publisher che offrono contesti premium e, per i clienti, la necessità di includere benchmark di qualità nello spettro delle misurazioni utilizzate.
Un territorio che rimane a rischio è quello dei social dove, per l’enorme scala e la velocità con cui gli annunci vengono serviti e consumati, “non è possibile fare risk assessment”, ha detto Montgomery sottolineando anche come le fake news siano per GroupM “un’area di forte preoccupazione”.