Il branding sonoro è un territorio in piena evoluzione e crescita. Amp la sta cavalcando, anche con tool di AI

Nata nel 2009 per iniziativa di Michele Arnese e dal 2023 parte di Wpp, la società di sonic branding Amp ha lavorato al progetto di identità sonora di Mastercard che ha fatto da benchmark e da apripista per un mercato in grande fermento. L’AI ha aperto possibilità impensabili fino a due anni fa

Michele Arnese

Il lancio nel 2019 dell’identità di marca sonora di Mastercard è stato uno di quei momenti che, nel settore, hanno segnato una pietra miliare, tutt’ora benchmark globale in fatto di sonic branding.

Dietro c’era – e c’è ancora, perché la collaborazione continua a crescere ed evolvere – la società di sonic branding Amp, fondata in Germania, a Monaco, nel 2009 da Michele Arnese e con sedi negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. L’anno scorso Amp è stata acquisita da Wpp che l’ha associata alla sigla di consulenza in brand e design Landor, andando a completarne le competenze anche in ambito audio.

Nei giorni dei Cannes Lions Brand News ha incontrato il Ceo Michele Arnese che ci ha raccontato come sta cambiando il mondo del branding sonoro e i progetti a cui Amp sta lavorando, anche in Italia. «Da quando abbiamo aperto la collaborazione con Landor abbiamo iniziato a lavorare anche su clienti italiani. Il primo è Elica per cui abbiamo curato i suoni che caratterizzeranno la loro comunicazione e la loro nuova brand identity, nel quadro di un lavoro multidisciplinare» spiega Arnese.

Come è nata Amp e come mai in Germania?

«Dopo la laurea a Pisa ho voluto lavorare all’estero e i tedeschi sono stati i primi a rispondermi. Ho iniziato come management consultant per brand e società internazionali ma poi, seguendo la mia passione per la musica e insieme a un partner compositore, abbiamo creato Amp. Io ho portato la parte business e strategica, la capacità di comprensione dei bisogni dei clienti. All’epoca non avevo assolutamente idea che questo potesse diventare un business, ma 15 anni dopo ho venduto a Wpp».

Come è cambiato il sonic branding in questi anni?

«Prima i brand si limitavano a utilizzare un sound logo alla fine di uno spot. Ed è quello che abbiamo fatto con Unicredit, che è stato il nostro primo cliente italiano e con cui abbiamo lavorato in modo costruttivo e intelligente. Era il 2014 e loro volevano comunicare in maniera più emozionale, nel quadro di un rebranding. Poi abbiamo iniziato a cambiare le regole del gioco, utilizzando la musica in maniera più ampia e diversa: non solo alla fine dello spot ma sui social, commercio, eventi, sponsorship. Il progetto creato con Unicredit è stato una specie di proof of concept del nostro metodo di creare identità sonore che vadano oltre il jingle».

E Mastercard quand’è arrivato?

«Mastercard è stata praticamente la prima azienda ad avere una sonic identity che si estende a un intero ecosistema. Abbiamo iniziato a lavorare con loro nel 2018, direttamente con il Cmo Raja Rajamannar, e l’anno successivo è uscito il progetto che coinvolge tutte le manifestazioni più importanti della marca, incluso il momento più importante, quello del pagamento, in 500 milioni di POS. Da questo sistema sonoro abbiamo poi creato un sacco di altre cose per la piattaforma Priceless, gli eventi, i canali digitali. Il viaggio è partito dall’identità sonora e si è evoluto a livello di branding multisensoriale: nel Mastercard restaurant di New York abbiamo ad esempio creato dei soundscapes connessi al concetto di cibo. È un lavoro che non si ferma mai. Loro sono stati veri precursori: Mastercard non solo è il nostro case study più rappresentativo ma ha anche aperto la discussione sull’identità sonora a livello globale. E da allora sempre più brand iniziano a valutare di dotarsi di un’identità sonora».

A quali altri progetti sta lavorando Amp?

«Lavoriamo per Shell, e Uber che poche settimane ha lanciato il suo suono distintivo. E per Vodafone che ha appena lanciato il suo sound in tutti i mercati, un’esperienza che va su Vodafone TV, i device, i canali digitali, la pubblicità, che arriverà anche in Italia con le prossime campagne. Tra l’altro con questo progetto abbiamo lanciato la nostra piattaforma di intelligenza artificiale. Sulla base del nostro lavoro, Vodafone ora riesce a creare nuovi stili e nuovi pezzi di musica con l’AI. Il nostro tool adatta anche la musica ai video: se hai un video e vuoi abbinare una musica, scegli il genere e l’AI ti crea diverse alternative tra cui scegliere, da adattare al video».          

Che metodo usate per trovare il suono giusto per esprimere un brand?

«Con il nostro team creativo, facciamo una full immersion nella brand identity, usiamo un sistema per tradurre questo tipo di informazioni in sonic principles, definiamo i do e i dont’s che ci dicono come è e come non è il brand sonoro che vogliamo ottenere. Definiamo la sua posizione anche rispetto alle 20 emozioni principali che fanno parte del bagaglio emozionale di una persona, controllando anche dove si collocano i competitors e dove non bisogna avventurarsi. Questa combinazione di principi e moodboard sonori sono importanti non solo per capire dove posizionare il brand ma anche per capire come giudicare il lavoro. È importante anche educare i clienti a parlare di suono, perché non è che siamo tutti DJ, a utilizzare i nostri termini e a ragionare sui competitor anche in termini di sound».

Perché disporre di asset di proprietà e distintivi ripaga di più che utilizzare il tormentone di stagione, l’artista del momento che si connette direttamente con le passioni delle persone?

«Affidarsi solo a quello che vogliono sentire le persone, al tormentone diciamo, è un errore grossolano e abbiamo un sacco di statistiche che lo provano, ad esempio studi della Goldsmith University di Londra con cui collaboriamo. I dati dicono che alla gente non importa nulla ascoltare la musica che conoscono in uno spot, perché la ascoltano comunque in radio o altrove. In quel momento i brand stanno regalando i loro 30 secondi alle radio e alle etichette musicali, senza alcuna brand attribution. Ha senso invece pagare la licenza per un brano quando fa parte dell’idea creativa e dello storytelling.

Quello che facciamo noi è invece offrire asset sonori proprietari ai brand che poi decideranno autonomamente come utilizzare. Un paio di esempi: Apple non ha un logo sonoro ma ha un arsenale di suoni immediatamente riconoscibili anche nei suoi spot. Anche Mercedes-Benz non ha un sound logo ma ha una delle identità sonore più di successo. Creiamo una colona sonora utilizzando le melodie del DNA sonoro di Mercedes imprimendo dei ‘sonic watermark’, in modo che il brand sia sempre riconoscibile, in maniera sottile, anche nei primissimi secondi di uno spot».

I progetti di sonic branding vengono decisi più in maniera strategica, all’inizio di un percorso di definizione dell’identità di marca, oppure avvengono di più a livello esecutivo nel quadro di una campagna pubblicitaria in via di realizzazione?

«In passato abbiamo lavorato quasi esclusivamente a livello strategico con le aziende, parlando direttamente con i decisori di marketing, e non abbiamo mai acquisto clienti grazie alle agenzie. Da quando siamo parte di Wpp abbiamo iniziato a parlare con Akqa, Vml, Ogilvy e ci arrivano quelle che chiamiamo richieste ‘esotiche’, rispetto alle quali dobbiamo orientarci in maniera diversa. È un processo interessante perché pensiamo sia importante creare un momento sonoro che genera brand equity. Anche se lavoriamo solo all’esecuzione, con il background strategico che abbiamo agiamo col senno di poi creando una proposta che sia coerente e che possa essere sviluppata in un sistema in futuro».

Dopo l’acquisizione da parte di Wpp come si sta sviluppando Amp?

«Stiamo crescendo soprattutto a livello territoriale. Ad esempio lavoriamo molto negli Stati Uniti e a New York abbiamo una persona nel growth team di Wpp, in modo da essere più collegati. Nel Middle East non eravamo presenti e ora, dopo pochi mesi, stiamo lavorando a quattro progetti per clienti tra i quali Saudi Airlines.

In generale stiamo usando tutti gli uffici di Wpp nel mondo, anche a Milano presso il Campus sui Navigli, che ci mette in contatto diretto con tutte le agenzie con cui collaboriamo e ci permette di creare legami a livello personale. Wpp è enorme e ci vorrà tempo per integrarci nelle loro attività.

Quanto a personale, da una cinquantina siamo cresciuti a una sessantina. Abbiamo delle persone che all’interno di Landor svolgono la funzione di ‘sonic heroes’ invitando i clienti a considerare un’espressione sonora del loro brand.

Abbiamo inoltre accelerato lo sviluppo di software: ne abbiamo uno che permette con un click di analizzare il contenuto video di un brand attraverso tutti i canali social, mostrando che generi musicali, tipo di musica e che tonalità il brand usa.

Un secondo fa audio testing con machine learning: caricando un brano o varie alternative, ti dice quale funziona meglio e come potrebbero reagire i consumatori esposti a questo video in termini di memorabilità, brand fit e così via. Il terzo ti permette di creare musica e voice over con la nostra generative AI.

Si tratta di strumenti che fino a due anni fa non pensavamo neanche lontanamente di creare, e ora fanno parte della piattaforma di AI Wpp Open. In questo modo i clienti globali di Wpp possono accedere al nostro tool e utilizzarlo per creare asset sonori. Stiamo anche lavorando con Hogarth alla creazione di contenuti su larga scala in un modo che nessun’altra agenzia al mondo può offrire in questo momento».         

F.B.          

Il branding sonoro è un territorio in piena evoluzione e crescita. Amp la sta cavalcando, anche con tool di AI ultima modifica: 2024-06-26T11:02:49+02:00 da Redazione

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