Il sesto rapporto Auditel-Censis conferma la centralità della TV “anche nel processo di trasformazione digitale”, come ha sottolineato il presidente Auditel Andrea Imperiali.
È però una TV sempre più connessa, con il sorpasso delle smart TV sui televisori tradizionali, seppure di poco – 21 milioni di TV smart e 20,5 milioni di TV tradizionali – e il conseguente aumento della visione in streaming. Questa è infatti al 45,8%, con una crescita che nei 7 anni considerati è stata del 66,2% e che i broadcaster italiani non si sono fatti sfuggire, recuperando quote di ascolto aggiuntivo sulle piattaforme digitali. Si tratta di un pubblico molto simile a quello della TV lineare, ha commentato Imperiali, con una vocazione più generalista anche nella fruizione in streaming.
Il rapporto Auditel-Censis evidenzia non solo la crescita nel numero dei dispositivi – 122 milioni, in aumento del 2,2% nell’ultimo anno – ma anche della loro dimensione, con i televisori di 50 pollici e più arrivati al 14,1% del totale, triplicando il loro numero in 6 anni.
La ricerca di base Auditel, inserita nel piano di statistica nazionale, evidenzia che la crescita degli schermi dipende solo dall’aumento di quelli connessi, cui andrebbero aggiunti anche smart speaker e smartwatch: i primi sono aumentati del 29,2% negli ultimi 2 anni, i secondi sono arrivati a quota 1,2 milioni, pari al 5% del totale.
Il pubblico della TV on-demand è composto per il 51,4% da uomini, il 30,8% ha un’età tra i 45 e i 64 anni, il 28,1% tra i 18 e i 34 anni. Il genere più amato è il cinema, il 67,6% segue abitualmente (più di 1 volta a settimana) la programmazione on-demand e il 16,9% lo fa ogni giorno. Il pubblico delle piattaforme gratuite dei broadcaster nazionali ha una sua specificità: più donne (52,2% del totale), più bambini (19% contro il 15,8% complessivo), più anziani (14% vs 7,7%), più laureati (29,4% vs 22,5%) rispetto al totale degli utenti dei programmi web.
Il passaggio al digitale terrestre di seconda generazione, sottolinea il rapporto, non è ancora del tutto compiuto e al momento manca ancora la data ufficiale per lo switch-off definitivo al DVB-T2 che sostituirà il vecchio digitale, tuttavia nei prossimi anni proseguirà la sostituzione dei televisori tradizionali – oggi 8,4 milioni di famiglie non hanno un televisore compatibile – sebbene molto dipenderà dalle politiche di incentivazione, segnala il rapporto.
La banda ultra larga raggiunge il 63,1% delle famiglie italiane (+17,1% negli ultimi 7 anni), una quota ancora lontana dall’obiettivo stabilito dal PNRR che prevede connessioni a 1 Gigabit per tutti i cittadini entro la fine del 2026. Restano fuori dalla vita digitale 2 milioni di nuclei familiari, pari all’8,3% del totale, mentre il 30,2% dispone solo di una connessione mobile che non sempre ha la capacità di supportare tutte le attività e il 22,4% delle famiglie si collega solo a internet.
Tante le sfide regolatorie secondo Laura Aria, commissaria di Agcom. Ma se in passato cozzavano un territorio della tv iper-regolato e un mondo dei servizi online che lo era poco o niente, ora questa contraddizione è stata superata grazie anche al recente Digital Service Act.
“Spetta ora al regolatore bilanciare le normative UE con quelle locali per arrivare a una regolamentazione sempre più omogenea. Come Agcom, il Parlamento ci ha dato compiti operativi molto pratici: come quello del contrasto alla pirateria online, per cui abbiamo stabilito che ciò che è illegale offline lo è anche online, o della normativa sul parental control integrato nelle sim telefoniche. Ma adottare queste migliorie deve essere uno sforzo di tutto il paese: abbiamo tanti device e dobbiamo imparare a usarli con responsabilità. Questa non deve gravare solo sugli operatori ma deve essere trasferita alla società civile grazie a un’educazione digitale”.
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