In Uk il Times ha rimesso i brand in allarme con la sua indagine su video di minori, in atteggiamenti privati o poco vestiti, legali ma che attraggono l’attenzione e i commenti di network di pedofili
Dopo lo scandalo brand safety portato alla luce il febbraio scorso, una nuova inchiesta del Times ha rimesso i brand in allarme riguardo alla sicurezza dei loro investimenti pubblicitari su YouTube.
Il problema stavolta non sono terroristi ed estremisti, quanto video che mostrano minorenni in atteggiamenti privati, talvolta inappropriati o magari poco vestiti.
I video in sè sono legali, nella maggior parte dei casi postati dai ragazzini stessi, ma il problema è che finiscono per attrarre l’attenzione di gruppi di pedofili i quali hanno espresso commenti inaccettabili nello spazio sottostante i video.
Tra le dozzine di brand che attraverso le loro inserzioni si sono ritrovati coinvolti compaiono BT, Adidas, Deutsche Bank, eBay, Amazon, Mars, Diageo, Talktalk. E, come avvenuto la volta scorsa, le aziende stanno ritirando le loro pianificazioni e agendo per vie legali (tra queste Mars, Lidl e Deutsche Bank) in attesa che Google trovi una soluzione per l’ennesimo problema causato non solo dai contenuti generati dagli utenti ma dai commenti espressi dalle audience, fenomeno che non è facile controllare soprattutto considerando i volumi della piattaforma.
Immediatamente scoppiato il caso, YouTube ha lavorato per ‘demonetizzare’, ovvero non far apparire la pubblicità su video di questo genere. I vertici si sono inoltre incontrati con ISBA, l’associazione degli inserzionisti pubblicitari britannici, e anche questa settimana sono previsti meeting per chiarire la situazione e porvi rimedio. Secondo i responsabili di ISBA e IPA (Institute of Practitioners in Advertising) per sua stessa ammissione YouTube ha dichiarato di “non aver fatto abbastanza su questo fronte” e che le “procedure di controllo e monitoraggio sono inadeguate”. Ovviamente tutto il materiale incriminato è stato passato alla polizia.