We Are Social ha individuato una serie di tendenze che influenzeranno il marketing e la comunicazione nel corso dell’anno.
Il binge-watching del pesce rosso (Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, CEO di We Are Social Milano)
In passato, le piattaforme consigliavano ai brand di creare contenuti sempre più brevi, mettendo in evidenza i benefit dei video da 6 secondi e da 2 secondi. Se da un lato è ancora vero che le conversazioni delle persone vertono spesso su contenuti immediati, brevi e semplici da fruire, è altrettanto interessante osservare come video ed esperienze di più lunga durata, che catturano l’attenzione ben oltre una manciata di secondi, stiano diventando molto interessanti per le persone.
Pensiamo al fenomeno del binge-watching, o ai documentari di media come Vice e Vox o al costante aumento dei podcast: di fianco ai format brevi, le persone si stanno oggi abituando a interagire con contenuti di lunga durata. Facebook Watch ad esempio, che distribuisce serie video attraverso la sua piattaforma social, è un esperimento in questa direzione.
Contenuti più lunghi stanno diventando sempre più famigliari per le persone e questo rappresenta un’opportunità per i brand. Non è vero, insomma, che la durata della nostra attenzione equivale a quella di un pesce rosso:se ci piace un contenuto infatti, vogliamo vederne di più.
Direct messenger marketing (Nathan McDonald, Co-Founder e CEO di We Are Social)
Le principali piattaforme di messaggistica sono al lavoro per migliorare costantemente le loro app e diventare gli strumenti più utilizzati per messaggi con un elemento creativo. E Instagram sta già testando un’app separata e indipendente per i messaggi diretti, presumibilmente con questo obiettivo.
Nel frattempo, la spinta a fornire funzionalità utili all’interno dell’app di messaggistica ha visto il proliferare di bot text-only. Facebook vuole che Messenger diventi la piattaforma preferenziale per il servizio di customer care, con la possibilità che la stessa chat business to consumer possa essere trasferita da Facebook al sito web di un brand. Oltre all’help desk, ci rivolgeremo sempre più ai robot di messaggistica per tutto – dalle pizze alle previsioni del tempo – sui nostri smartphone, ma anche grazie al controllo vocale, nelle nostre case e veicoli.
Queste due direzioni non rimarranno separate per molto tempo perché le possibilità per il social commerce sono molto importanti. Ma per evitare di creare la versione moderna dello spam via SMS, i brand dovranno fornire contenuti rilevanti in modo trasparente, spontaneo e non intrusivo.
Social commerce (Benjamin Arnold Managing Director di We Are Social New York)
Il social commerce oggi rappresenta meno del 2% del totale delle vendite al dettaglio, ma si prevede che questo numero sia destinato ad esplodere nei prossimi anni. Le ricerche suggeriscono infatti che le entrate generate potrebbero raggiungere 165 miliardi di dollari a livello globale entro il 2021. E in particolare per quanto riguarda il mercato statunitense il vero punto di svolta è atteso già nel 2018.
Marchi come Amazon con la sua rete Spark o app indipendenti quali Screenshop, stanno innovando lo scenario e offrendo concrete soluzioni di social commerce. E questa tendenza non si ferma qui: brand quali Google e Starbucks stanno integrando il social commerce nell’ambito delle loro reti di vendita tradizionali, costruendo una vera strategia di marketing omnicanale digital e social in grado di offrire alle persone un’esperienza di acquisto integrata e dinamica, che vince i modelli di vendita tradizionali.
Social Search (Suzie Shaw, Managing Director We Are Social Sydney)
Le piattaforme social stanno raccogliendo una crescente quantità di dati: dai tag geografici agli insight comportamentali passando per gli approfondimenti su interessi e passioni. Con la continua evoluzione della ricerca visiva, le piattaforme stanno diventando luoghi di ricerca sempre più popolari.
Intelligenza Artificiale attivata vocalmente e sonic-branding (Sandrine Plasseraud, President e Founder di We Are Social Parigi)
Entro il 2029, si prevede che la metà dell’interazione uomo computer sarà effettuata tramite intelligenza artificiale attivata dalla voce. E se il 2029 sembra ancora lontano, secondo Gartner, entro il 2020 il 30% della navigazione avverrà senza uno schermo, il che significa che stiamo passando da una relazione screen-first a una voice-first. Sì. Molto presto la maggior parte di noi parlerà quotidianamente con un’intelligenza artificiale.
Il futuro è più vicino di quanto pensiamo e questo apre una serie di nuove opportunità per i brand: il potere della voce come nuovo touchpoint per il marketing. Al fianco di una personalità distintiva, i brand avranno davvero bisogno di sviluppare un tone of voice unico e riconoscibile. Nel 2018 i marchi dovranno iniziare a investire nel “sonic-branding” affinchè le persone possano riconoscere la voce pronunciata da un’IA e che cosa rappresenta.
Intelligenza Artificiale nel content marketing (Christina Chong, Managing Director di We Are Social Singapore)
Grazie alle piattaforme di AI marketing, le aziende possono ora sviluppare contenuti più efficaci e rilevanti. Esse consentono di distribuire contenuti tramite soluzioni personalizzate e forniscono previsioni su come, dove, perché e quando le persone vogliono essere coinvolte dai messaggi. In questo modo i brand possono interagire meglio con i propri consumatori. Il futuro del content marketing sta quindi nella capacità di soddisfare singole audience.
Hyper-transparency e chiarezza (Jim Coleman, CEO di We Are Social Londra)
I brand sono impegnati nel riconquistare la fiducia dei propri consumatori, fornendo certezza e una trasparenza assoluta delle informazioni – non semplicemente evitando dettagli scomodi. L’apprezzamento delle persone per la trasparenza non è una novità, ma nell’era delle fake news, la sfiducia nei confronti di marchi, media e governi si è moltiplicata.
Questo scenario lancerà l’anno prossimo una vera e propria sfida ai brand per conquistarsi la fiducia delle persone. Non sarà più sufficiente dire che sei onesto o che il tuo staff lo è: devono essere le terze parti a comprovarlo. Le aziende dovranno poter parlare di tutto – non solo delle cose positive. Dovranno anzi dimostrare di essere consapevoli anche delle debolezze relative al business – o al settore di attività – e di essere già all’opera per migliorarle.
Le persone sono contributor (Vanessa Bouwman-Axt and Roberto Garcia, Managing Directors di We Are Social Monaco & Berlino)
I brand sono sempre più guidati dalle idee e dalle interazioni con i loro consumatori. Ed è così che le persone si stanno trasformando in contributor. Non si tratta solo di essere un acquirente occasionale per esempio, si tratta di avere un senso di appartenenza reale alla community della marca e dell’ esercitare un ruolo attivo nel delinearne il futuro.
Consentendo alle persone di sviluppare un senso di appartenenza verso i brand preferiti, è possibile formare comunità di co-creatori grazie alle quali si generano nuove idee e prodotti, sulla base di feedback in tempo reale da parte di chi acquista.