Il marketing non si prende le proprie responsabilità con danno alla buona creatività. Per combattere la sindrome, conclamata anche qui in Italia, utili le parole di Marcelo Serpa. Ce le ricorda Patricia Venturini, new projects director di BorghiErh/Lowe
So che avrei dovuto scrivere di creatività, ma questo mese ho deciso di cambiare un po’. Parlerò di creatività, infatti, ma della sua mancanza.
Oggi, qui in Brasile stiamo soffrendo di una sindrome, quella di Ponzio Pilato. Non so se voi soffrite dello stesso problema, ma questo genere di malattia colpisce in particolar modo il marketing di alcuni clienti. I sintomi sono sempre gli stessi: cominciano a lavarsi le mani ogni qual volta devono scendere a compromessi. Cercano qualcuno che si prenda il rischio al posto loro, o al limite con cui condividerlo. E questo è fatale per la creatività.
Alla vigilia del festival di Cannes, è il importante parlare di questo, perché tale comportamento ha influito sui risultati del Brasile al festival. Eravamo uno dei paesi più premiati, agenzie come DM9, Almap e F/Nazca Saatchi & Saatchi spiccavano con format innovativi e lavori di alta qualità. Ma nelle ultime edizioni è chiaro che stiamo perdendo la nostra leadership. Non siamo rappresentativi nelle categorie più innovative come cyber, titanium, integrate, mobile. E siamo lontano dall’ottenere i risultati di prima.
Significa che le agenzie sono in una fase di stagnazione creativa? Ci sono diverse ipotesi, ma tutte hanno in comune – secondo il mio personale punto di vista – la sindrome di Ponzio Pilato, che rende difficile alle agenzie convincere i clienti a investire in campagne innovative, forti e veramente creative.
Un bel po’ di clienti fingono di implementare strategie innovative pensando in un modo diverso e investendo in nuovi media, nuovi formati e creatività: la verità è che conoscono la teoria a memoria ma nella vita reale optano invece per la strada sicura, parole conosciute, formati tradizionali. Preferiscono ciò che viene testato e approvato dopo un infinito processo di ricerca, facendo sì che siano i consumatori che partecipano ai test ad avere l’ultima parola, ad essere responsabili dell’approvazione o meno del frutto del duro lavoro da parte di fior di professionisti delle maggiori agenzie.
Interrogato sulla qualità della creatività brasiliana Marcelo Serpa, partner e general creative director di Almap Bbdo, uno dei più rispettati creativi sul mercato e uno dei miei riferimenti professionali, ha detto: «Non credo nella stagnazione creativa, non credo nelle profezie sulla ‘fine della pubblicità’. Così come non credo ai consulenti, agli ingegneri del ROI, ai tabulati delle vendite. Non credo negli animatics, test preview, focus group. Non credo nell’idea facile, nell’idea sicura. Non credo nella pubblicità creata dall’ego ipertrofico dei clienti e nell’atteggiamento vigliacco dei reparti marketing. Credo solo nella buona pubblicità. Credo nella pubblicità che fa ridere la gente, la fa piangere, le mette i brividi, nella pubblicità che fa provare qualcosa alla gente”. Sono completamente d’accordo con lui. E’ ora di combattere la pubblicità a botta sicura e il marketing di Ponzio Pilato. E’ ora di avere il coraggio di credere ancora nella buona pubblicità.
Patricia Venturini, new projects director di BorghiErh/Lowe