In un settore già poco inclusivo, l’Italia si distingue per essere ancora meno inclusiva. L’associazione delle agenzie ha presentato i dati italiani della ricerca globale promossa da WFA e dedicata a diversità, equità e inclusione
UNA ha presentato i risultati relativi al mercato italiano della ricerca globale di WFA condotta da Kantar nei mesi di marzo e aprile. In un settore già poco inclusivo, quello del marketing e della pubblicità, il nostro paese emerge come ancor meno inclusivo, collocandosi al di sotto del benchmark globale dell’Inclusion Index con il 59% contro il 63% a livello mondiale.
Il modesto senso di appartenenza (64% in Italia, 69% la media globale) e la presenza di comportamenti discriminatori (21% vs 19%) – situazioni più critiche per le donne – sono le principali ragioni dell’arretratezza italiana.
Le dimensioni della diversità. L’indagine si basa su cinque differenti dimensioni relative alla diversità (genere, etnia, orientamento sessuale, religione e disabilità) e i suoi esiti mostrano che la discriminazione sul luogo di lavoro si manifesta soprattutto per quanto riguarda genere, età e responsabilità familiari.
Il genere è discriminante, in termini di vissuto personalmente o osservato sul luogo di lavoro, per il 16% dei rispondenti, percentuale che sale al 21% tra le donne e si ferma all’8% tra gli uomini. L’età è vissuta come una sfera di discriminazione in media dal 13% delle persone, in particolare dal 15% delle donne e dal 10% degli uomini. Le responsabilità familiari sono vissute come motivo di penalizzazione da una media del 14%, che sale al 18% tra le donne e si ferma al 9% tra gli uomini.
Discriminazioni di genere. Come è intuitivo immaginare, le donne ne subiscono più degli uomini: l’8% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito personalmente discriminazioni di genere nella propria azienda, contro l’1% degli uomini; il 15% di donne invece ha osservato discriminazioni basate sul genere nei confronti di altri nella propria azienda, dato raddoppiato rispetto al 7% degli uomini. Che il genere possa ostacolare la carriera nella propria azienda è il pensiero del 44% delle donne che hanno risposto al sondaggio, rispetto al 13% degli uomini. Inoltre, solo il 16% di donne crede ci sia parità di salario rispetto ai colleghi maschi, contro al 28% di uomini.
Salute mentale sottovalutata. La lettura di UNA relativa ai dati italiani della ricerca WFA evidenzia inoltre che il tema della salute mentale non viene gestito in modo adeguato dalle aziende. Oltre metà degli intervistati sostiene di essere molto stressato sul luogo di lavoro e solo il 22% crede che la propria azienda sia attiva al fine di ridurre al minimo il rischio di malessere rispetto alla salute mentale. Un malessere da non sottovalutare invece, dal momento che il 31% dichiara che il proprio lavoro ha un impatto negativo sulla propria salute fisica. Pur riconoscendo che la propria azienda abbia intrapreso attivamente un percorso per essere più inclusiva (72%), il 43% dei rispondenti percepisce dei miglioramenti nel comparto rispetto agli ultimi due anni, mentre il 35% ritiene che le condizioni siano rimaste invariate e il 44% sostiene siano necessari ulteriori sforzi.
Industry consapevole. Per Davide Arduini, Presidente di UNA, l’industry si è resa consapevole dei cambiamenti necessari al proprio interno, “tuttavia è necessario migliorare alcuni aspetti”, mentre Marianna Ghirlanda, Presidente del Centro Studi UNA, sottolinea il gender gap e la profondità di questa problematica.