Wpp ha promosso lo studio Beyond the Rainbow volto a capire come le persone LGBTQ+ percepiscono e valutano la rappresentazione delle identità nei media e nella pubblicità
Tanti passi in avanti sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga affinché la pubblicità restituisca una rappresentazione autentica delle identità LGBTQ+.
Lo dice un ampio studio promosso da Wpp attraverso Unite, la community LGBTQ+ del gruppo, e la sua società di dati e tecnologie Choreograph che hanno raccolto l’opinione di 7.500 persone LGBTQ+ e non-LGBTQ+ negli Stati Uniti, Canada e Uk riguardo ai media e alla pubblicità. I risultati possono anche essere utili ai brand e all’intero settore.
In generale emerge la domanda di una rappresentazione più autentica delle identità LGBTQ+ nella pubblicità, la necessità di un supporto a lungo termine oltre il mese del Pride e viene evidenziato il ruolo dei media queer nella cultura e nelle comunicazioni di marca .
A fronte di un 9% della popolazione complessiva che si dichiara ‘non etero’, sono i più giovani coloro che più frequentemente si riconoscono in altri orientamenti, con il 22% dei 18-24enni e il 16% dei 25-29enni. Il 61% delle persone etero è convinto che in futuro la sessualità sarà più fluida.
Tra i dati più interessanti del report:
I media queer sono diventati mainstream, specie tra i più giovani, ricercati attivamente dal 93% delle persone LGBTQ+ e dall’85% di quelle non tra i 18 e i 24 anni. Ma nonostante questo appeal condiviso, c’è ancora scarsa qualità e quantità.
Sul posto di lavoro solo il 40% delle persone LGBTQ+ parla apertamente della sua sessualità, mentre il 50% non fa mistero sulla propria identità di genere. Chi ha il reddito più alto, ha maggior probabilità (il 37% in più) di non nascondere il proprio orientamento, rispetto a chi ha un reddito più basso.
L’impegno dei brand viene percepito a volte come ondivago: vanno bene infatti i loghi aziendali trasformati con i colori dell’arcobaleno, ma quello è solo l’inizio. Al 52% delle persone LGBTQ+ piace questo tipo di iniziative, che tradizionalmente cadono durante il mese del Pride, ma desidera anche un maggiore supporto durante il resto dell’anno. Lo pensano 3 persone LGBTQ+ su 4 e metà delle persone non LGBTQ+. Tra gli spunti, le aziende possono interessarsi a questioni di interesse pubblico come la sensibilizzazione sulle legislazioni che riguardano le persone LGBTQ+.
Il report offre una serie di riflessioni su come lo scenario potrà evolvere, insight azionabili e suggerimenti da parte di esperti su come i brand possano informarsi meglio e realizzare migliori attività di marketing LGBTQ+. A realizzare lo studio è stato un team queer di Wpp Unite proveniente dalle agenzie BCW, Choreograph, Hill+Knowlton Strategies, Hogarth, Landor & Fitch, EssenceMediacom, The&Partnership, VMLY&R e Wavemaker. La redazione è a cura di Zoe Bowen-Jones e Devon Esper di Wavemaker. Hanno collaborato anche Black Pride, Diva Magazine, HRC e MyGwork che hanno condiviso il sondaggio con la loro audience, in modo da ottenere un solido campione di gruppi sotto-rappresentati nelle ricerche esistenti.
«Man mano che sempre più persone si identificano sotto l’ombrello LGBTQ+, essere genuini e inclusivi in tutto ciò che facciamo è più cruciale che mai affinché i brand siano rilevanti» commenta David Adamson, Founder e UK Co-chair di WPP Unite.
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