Appena pubblicato il report sullo “Stato della Conversational Intelligence” a cura della società di social listening Talkwalker e dalla piattaforma di recensioni Trustpilot
Pianificare il business nel medio termine nell’ultimo anno è diventato più complicato, tra lockdown più o meno severi, limitazioni agli spostamenti, DCPM che si susseguono uno dopo l’altro.
Un aiuto in questo senso può venire dall’ascolto delle conversazioni online, “essenziali per prendere decisioni a breve termine reagendo a un mondo in continua evoluzione e base fondamentale per pianificare il business a medio termine e per prevedere gli effetti a lungo termine della pandemia sul comportamento futuro dei consumatori” come spiega Tiankai Feng, Global Director, Voice of Consumer Analytics di Adidas, nel report “Stato della Conversational Intelligence” pubblicato settimana scorsa dalla società di social listening Talkwalker e dalla piattaforma di recensioni Trustpilot.
Oltre 1000 i professionisti di marketing, PR e consumer insights intervistati, più di 50 le testimonianze di aziende riportate ed esempi in 5 settori merceologici, per fare il punto su come nell’ultimo anno è cambiato il modo di ascoltare i consumatori.
Consenso generale sul fatto che la pandemia ha cambiato la comprensione del consumatore, opinione condivisa dall’82% degli intervistati. La fonte principale di interazione con il brand sono i social media, indicati come fonte primaria dal 28%, seguite nell’ordine da siti di recensioni – che tra l’altro occupano un posto di rilevo nel percorso d’acquisto dei consumatori -, blog, telefonate ai call center, siti di news, ricerche di mercato, forum e chatbot.
Il 50% del campione dichiara anche che l’attività di ascolto non è facile e di non essere stato in grado di raccogliere sufficienti dati sulle conversazioni o di utilizzarli adeguatamente.
Per il monitoraggio delle conversazioni, l’approccio manuale appare come il metodo utilizzato più frequentemente. Appare anche in aumento l’utilizzo di una piattaforma unificata, utilizzata però solamente dal 18% dei rispondenti. Le principali difficoltà individuate sono la carenza di dati, seguita da un livello inadeguato di analisi, la mancanza di competenze interne per analizzare i dati, mentre al quarto posto oltre il 15% dei rispondenti dichiara di essere subissato da una quantità di dati tale da non saperla gestire. Infine diversi professionisti lamentano la persistenza di silos nell’organizzazione.
I canali conversazionali sono utilizzati principalmente per feedback e assistenza clienti (28%), seguiti dalla promozione del brand (21%), la ricerca e l’innovazione di prodotto (16%), monitoraggio del brand (15%), crisis management (8%) ma solo il 12% riesce a utilizzarli per tutte queste funzioni insieme.
Il report analizza inoltre lo stato della Conversational Intelligence nei settori automobilistico, farmaceutico e sanitario, finanziario, largo consumo non alimentare e retail.
Per approfondire i risultati del report è in programma un webinar mercoledì 10 marzo alle ore 14.