Attraverso metodologie di web listening e mediante interpretazione avanzata dei dati da parte dei propri consulenti, Intarget ha analizzato le conversazioni sui social in tema di coronavirus scoprendo che il virus è oggetto di un’informazione ritenuta confusa e poco affidabile.
“Gli italiani che parlano del virus sono prevalentemente giovani e uomini; principalmente attivi in campo legale e giornalistico e chi si interessa di scienza è solo al 4to posto, mentre chi svolge professioni sanitarie è solo all’8vo”, spiega Giorgia Fumo del team Social Media Analyst di Intarget.
“Stanno cambiando alcune abitudini di consumo come l’acquisto online e la stessa comunicazione offline dei brand si sposterà maggiormente sui canali digitali, ci sarà la possibilità di accelerare la diffusione dello smart working e dell’e-learning. Anche l’informazione dovrà adeguarsi: questo è il momento di rallentare e comunicare con sensibilità e competenza”, nota Nicola Tanzini, CEO e founder di Intarget, per il quale bisogna tornare a “dare valore alle fonti primarie delle informazioni, ai professionisti per competenza e fidarci maggiormente delle istituzioni”.
La ricerca, aggiornata al 17 marzo, tiene conto delle reazioni al decreto #iorestoacasa, rileva che i brand più citati nelle conversazioni sono i social (Twitter su tutti), i servizi di messaggistica come WhatsApp e di teleconferenza come Skype, e l’intrattenimento (YouTube, Netflix, Mediaset).
Revisione della comunicazione. Intarget stessa ha avviato una revisione della comunicazione per tutti i clienti, adeguando i contenuti e il tone of voice al mutato contesto, spiega Raffaella Pierpaolo, Head of Social Media. “Quello che abbiamo notato è che, da parte dei nostri clienti, c’è il desiderio di esprimere vicinanza, essere d’aiuto con piccoli gesti nelle attività quotidiane e trovare una nuova sintonia con il proprio pubblico, piuttosto che inserirsi con contenuti sul tema coronavirus”, aggiunge Pierpaoli sottolineando che questa emergenza ha modificato i piani editoriali dei brand.