Ce.r.Ta indaga con una duplice ricerca il ruolo e lo spazio dei broadcaster pubblici nell’età delle piattaforme

Le sfide più impervie restano la riorganizzazione, costretta da burocrazia e vincoli regolatori, e la sostenibilità economica, con ricavi in calo e costi in aumento, che limita la competizione con gli streamer globali

Una ricerca internazionale che ha unito Università Cattolica e le Università di Leeds, Varsavia e Bruxelles e una tutta italiana, realizzata in collaborazione con la Rai, hanno indagato le implicazioni della ‘piattaformizzazione’ sul ruolo del servizio pubblico e il consumo di informazione. Entrambe sono state presentate ieri a Milano nel corso dell’incontro organizzato dal Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi (Ce.r.Ta) e dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo della Cattolica.

Le sfide. Nonostante le differenze – di dimensione, lingua, mercati, maturità digitale – le sfide dei 10 broadcaster pubblici presi in esame nei sei paesi considerati dallo studio internazionale sono simili e nelle raccomandazioni della ricerca internazionale dovrebbero essere al centro di politica e autorità di regolamentazione. La prima sfida riguarda la possibilità di raggiungere il pubblico, sempre più frammentato e sfuggente quanto più è giovane, e il difficile bilanciamento per i broadcaster pubblici tra offerta lineare e online.

La seconda concerne la percezione del valore e la brand awareness, affrontate con strategie diverse e in cui spicca il britannico Channel 4 per la capacità di diversificare la distribuzione in modo da raggiungere i suoi pubblici là dove si trovano. Le più impervie restano la riorganizzazione, intrapresa da tutti i broadcaster oggetto della ricerca, ma costretta da burocrazia e vincoli regolatori, e la sostenibilità economica, con ricavi in calo e costi in aumento, che limita la competizione con gli streamer globali.

Tra i case study, il report di ricerca racconta il successo di ‘Mare Fuori’ che ha avuto una significativa influenza percezione stessa del ‘brand’ Rai.

Lo scenario italiano ha letto le diversità di opinioni in merito a ruolo del servizio pubblico nel consumo di informazioni presso quattro coorti generazionali da cui è emersa la centralità del fact-checking e della verificabilità delle fonti, importante in media per 9 su 10, e che diventa 10 su 10 per gli appartenenti alla Gen Z, la più digitale, mobile e social-first, che spende una quota maggioritaria del proprio tempo sulle piattaforme.

Raccontata da Massimo Scaglioni, Direttore Ce.r.Ta, e Anna Sfardini, Direttore didattico Master Fare TV, la ricerca realizzata in collaborazione con la Rai, ha messo in evidenza la credibilità di chi produce le notizie, sia come discrimine di scelta, sia per le variazioni a seconda dell’età, cosa chiedono gli italiani al servizio pubblico e come si stia arricchendo il ventaglio di media di riferimento.

Tra le evidenze, i rispondenti hanno evidenziato una forte attenzione al territorio (70%), ai temi legati alla salute (65%) e alle notizie internazionali (63%), mentre la cronaca – in particolare quella nera – non è così preponderante (5,6%) quanto lo spazio che gli viene dedicato.

Il ventaglio dei media di riferimento si è ampliato al punto che TV e internet sono alla pari con il 79%, mentre i social seguono con il 68%.

Sfardini ha messo in evidenza come la TV sia connotata da “ripetitività” e “morbosità”, mentre internet spicca per la capacità che offre di completare e approfondire le informazioni e i social siano percepiti da un pubblico ormai maturo e allenato come zona più a rischio e ricettacolo di fake. Quanto al servizio pubblico, le domande più pressanti sono quelle di trasparenza (56%), professionalità (45%) e autorevolezza (39%).

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Ce.r.Ta indaga con una duplice ricerca il ruolo e lo spazio dei broadcaster pubblici nell’età delle piattaforme ultima modifica: 2025-10-31T11:34:59+01:00 da Redazione

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