Il Prosumer Report ‘The Beauty Effect’ di Havas dà un’immagine sfaccettata e complessa del concetto di bellezza, tra benessere e salute, cura di sé e strumento di potere
Come si sta modificando la percezione della cura di sé, quali tendenze segnano i rituali di bellezza, come si trasforma il desiderio e quale ruolo giocano i marchi: Havas Group ha intercettato numerosi segnali di cambiamento nel consumo e nell’industria della bellezza, raccogliendoli in ‘The Beauty Issue’, edizione dedicata dei suoi Prosumer Report.
La crescita positiva dell’industria (+7,3% global) e l’accavallarsi di tendenze contraddittorie hanno spinto il team di intelligence dell’agenzia ad approfondire il tema: la cura di sé è, in prima battuta, un atto di amore e di fiducia in sé stessi, e tuttavia rischia di perdere il suo significato se l’adesione a norme sociali diventa un’ossessione, se le beauty routine toccano anche i preadolescenti e se il costo di sieri e trattamenti richiede un fido in banca? Da qui la domanda: se tutta quella gioia nel prendersi cura di sé sia diventata un obbligo che mette sotto pressione. Per cercare la risposta, Havas ha sondato 14.500 adulti over 18 in 30 paesi per cercare di capire se le persone percepiscono la pressioni di aderire a certi standard di bellezza.
The Lipstick Effect dura ancora, ma il suo senso è cambiato: se una volta era una piccola fuga dal grigiore quotidiano, oggi è status ed espressione di sé. La bellezza è un po’ meno vanità e un po’ di più potere: per il 77% dei prosumer (consumatori appresentano le punte più avanzate della società) è un bisogno vitale (vs il 55% dei consumatori mainstream), un modo per stare bene con sé stessi (84%), una terapia che fa stare meglio anche mentalmente (75%). Valori globali da cui non si discostano molto quelli italiani, seppure con qualche differenza che mette l’accento sulla bellezza per sé e non per sedurre (15% vs 8% globale) e tuttavia la vice un po’ meno come una scelta (6 vs 10% globale).
Tutta salute. Il prendersi cura di sé diventa quindi una declinazione di buona salute e questa, a sua volta, di benessere economico: stare bene è ampiamente riconosciuto come una forma di successo, tanto che il 98% dei prosumer ammirano chi investe nella propria longevità e il 56% dichiara che preferirebbe spendere per attività come yoga, meditazione e spa, invece che in prodotti di bellezza. Tendenza in crescita, tanto che il Prosumer Report suggerisce alle marche di includere servizi ed esperienze di benessere nella loro offerta, tornando all’antica lezione di Elizabeth Arden.
Il privilegio della bellezza è un investimento per il successo secondo 6 prosumer su 10 (che diventano 4 su 10 in Italia) e pure per alcune ricerche secondo cui gli intervistati che ai colloqui di lavoro sono percepiti come meno curati hanno meno probabilità di essere richiamati, non importa le loro capacità. Sembra quindi una logica conseguenza che i trattamenti chirurgici non siano più solo privilegio di consumatori abbienti, ma anche – nell’epoca della democratizzazione di qualsiasi cosa – che 3 prosumer su 4 concordino suo fatto che sia più facile essere belli quando si è ricchi.
Inclusione e accessibilità sono sempre più praticate dalle marche, che si tratti dello storico ‘Because You’re Worth It’ di L’Oréal e del più recente We Belong to Something Beautiful’ di Sephora o dell’offerta di marche come The Ordinary e E.l.f. (che gioca pure con l’orgoglio ‘due’).
Quello dell’inclusione, nota il Prosumer Report, è un movimento che viene dal basso, stando all’82% dei prosumer per i quali la società è troppo ossessionata dalla perfezione fisica e al 93% secondo cui ciascuno deve essere libero di sentirsi bello a modo suo. E però il 65% confessa anche che è dura accettare se stessi in una società ossessionata dalla perfezione, in cui la magrezza torna a essere un modello da perseguire, grazie anche ai nuovi farmaci contro l’obesità, mentre la body positivity ha fatto il suo tempo per il 44% dei prosumer.
Tuttavia, anche la ricerca dell’eterna giovinezza viene considerata un’ossessione (72%) e la capacità di invecchiare in modo naturale come un atto di coraggio (88% global, 92% in Italia) che fa dire al 57% (60% in Italia) di ammirare chi non tinge i capelli grigi. Così come il 54% (42% in Italia) si dichiara ‘shockato’ che gli under 16 abbiano beauty routine e prodotti dedicati.
Contraddizioni. Il dilemma per le marche beauty è come muoversi tra le contraddizioni dei prosumer, tra il 71% (il 63% in Italia) che chiede loro di sfidare gli stereotipi sulla bellezza e il 44% (il 32% nel nostro paese) che dice di non credere ai messaggi dei brand che cercano di convincerli che stanno bene come sono.
Dunque, se non è ancora arrivato il momento del ‘beauty burnout’, secondo il report di Havas Group sono cambiate le motivazioni d’acquisto dei consumatori e cambieranno ancora, identificando un forte valore differenziante per le marche nella capacità di essere autentici e coerenti.