Raddoppia anno su anno il consumo di video di breve formato, sempre più popolari sia tra utenti e creatori di contenuti nonché tra i brand, che li hanno adottati come modalità di comunicazione ideale per raggiungere i più giovani impermeabili agli altri media.
Di short form content ha parlato We Are Social nel nuovo appuntamento WTFuture che si è tenuto ieri, con la partecipazione di Patricia Consonni, Creative Agency Partner di Facebook, Matteo Bellini, Integrated Media Manager di Ikea e Marco Pezzana, CEO di Vitec Imaging Solutions.
«I contenuti brevi non sono una novità, basti pensare agli haiku – spiega Luca Della Dora, innovation director dell’agenzia, inquadrando la situazione -. Gli short form content esistono da tantissimi anni, ma oggi acquistano importanza per una serie di motivi: il tempo a disposizione per fruire contenuti approfonditi è sempre di meno, la competizione tra i brand è sempre più dura per vincere l’attenzione delle persone in un contesto sempre più frenetico. In questo bombardamento sono le generazioni più giovani, che non vogliono perdere nulla, che spingono questo consumo soprattutto su Snapchat e Instagram. Controllare il feed è la prima cosa che fanno al mattino e guardare video è l’attività più diffusa, più di foto e articoli».
Fin ora considerati uno strumento per agire più sull’immagine di marca che sulle vendite, i video social adesso sono accompagnati da una crescente serie di funzionalità pensate dalle piattaforme per avvicinare la fruizione al momento dell’acquisto. «E noi sappiamo che una persona su 3 porta a termine un acquisto dopo aver visto una pubblicità sui social – aggiunge Della Dora – Per comunicare con queste audience, in particolare i più giovani, insofferenti alle interruzioni, i brand devono essere creativi, autentici e creare esperienze immersive con cui le persone possano interagire».
Ma perché i video brevi sono così addictive? Tante le variabili come l’effetto zapping, ma in testa ci sono anche l’unione tra immagine e audio (il 60% delle persone guarda le storie di Instagram in modalità sound on) e la scoperta di contenuti guidata dagli algoritmi e non dal giro di conoscenze. In particolare su TikTok e sulla funzione Explorer di Instagram, tutto ciò crea un senso di scoperta continua e permette alle persone di entrare in contatto con nuovi trend dalla durata effimera in modo veloce. «Per i brand è un’opportunità enorme ascoltare questi trend e capire come inserirsi per creare contenuti rilevanti, fruibili a piccoli morsi» conclude Della Dora.
Significativo il case study ‘InstaSleep’ di Ikea che ha utilizzato i contenuti brevi (poi uniti in video più lunghi) e il mezzo Instagram per creare una relazione con il pubblico e trasmettere il purpose aziendale, ovvero migliorare la vita a casa delle persone.
“La campagna è frutto di un lavoro molto strutturato, che non insegue ciecamente i trend ma li interpreta in modo critico – spiega Bellini -: qui abbiamo rivendicato il diritto a una pausa, in un mondo che non si ferma mai, creando un cortocircuito nel mandare a dormire le persone che stavano ancora scrollando il feed di notte. Anche durante la pandemia la campagna ‘Ripartiamo da casa’, attraverso un ecosistema di formati con al centro i contenuti brevi, ha cercato di risolvere i micro problemi che ci siamo accorti di avere nelle nostre case, inadeguate alle nuove esigenze».
Da qui è nato un ripensamento completo dell’architettura dei mezzi, che ha portato ad ufficializzare proprio questa settimana l’addio definitivo al catalogo cartaceo. «Dopo 70 anni è una decisione che richiede un diverso impegno nostro sugli altri mezzi. Il catalogo non sparirà comunque, ma verrà ripensato su un ecosistema di canali e con contenuti più rispondenti alle esigenze delle persone. Sarà aperto alla co-creazione, un codice aperto nel quale possono entrare contributori molto diversi».
Tutto centrato su short video e sfide di TikTok anche il case study del brand di accessori per fotocamere e smartphone Joby di Vitec, che ha fatto crescere dell’800% le vendite online dirette negli Usa grazie alla campagna ‘The song of us’.
«L’obiettivo principale era creare awareness, raccontare la nuova immagine di marca e legare la community alla proposta del marchio – spiega Pezzana – ma se il contatto si realizza vengono fuori anche i risultati commerciali. Parliamo sia alla community dei creatori di contenuti professionisti che a quella degli emergenti, che non si escludono ma si alimentano l’un l’altra. Nel nostro futuro quello breve è ‘il’ formato per eccellenza, che permette ai ragazzi di seguire molteplici fonti attraverso pillole. E’ il linguaggio che risponde meglio alle loro attese».