Le possibilità del branded entertainment sono tante e diverse, ma coerenza e consistenza devono essere rigide, il perché ben chiaro come anche la struttura della narrazione. Lo spiega Bruno Bertelli, Global Chief Creative Officer di Publicis Group e CEO di Publicis Italia
In un mondo in cui le generazioni più giovani non credono alla pubblicità, la ignorano o la bloccano, il branded entertainment è un formidabile veicolo per trasmettere i valori dei brand e, in ultimo, vendere. Del resto la mente umana è per sua natura più stimolata da un elemento ludico, spiega Bruno Bertelli, Global Chief Creative Officer di Publicis Group e CEO di Publicis Italia, in occasione dell’OBE Summit 2019, illustrando la teoria dello ‘storybranding’.
La struttura delle storie. «I consumatori sono abituati a leggere i brand come storie. E’ nella nostra indole: non si compra un Apple perché è bello o funziona bene, ma per la storia di Steve Jobs e delle sue intuizioni. Anche lo sport ci appassiona di più se lo leggiamo come una storia. Ma c’è un elemento di cui non teniamo conto abbastanza ma che è alla base dell’efficacia delle storie: la consistenza. Da Aristotele a Beethoven, passando per i migliori film di Hollywood, ogni storia è composta da tre parti: l’introduzione, il confronto, la risoluzione della vicenda. Uno schema fisso, che rispetta le aspettative delle persone e può essere applicato anche alla comunicazione dei brand: belief, tension, proposition».
Il perché al centro. Bertelli ha citato il ‘golden circle’ di Simon Sinek che mette al centro il ‘perché’, a giustificazione del ‘come’ e del ‘cosa’. «E’ il Why che giustifica ciò che il brand fa e quello in cui crede. E’ stato il problema di Red Bull, che ha fatto pezzi di grande intrattenimento ma che alla fine erano sganciati dal vero perché della marca. A volte ci sono aziende che scollegano completamente il loro branded entertainment dalla pubblicità, invece connettere il Why alla storia permetterebbe di rimanere fedeli alla marca».
Un ottimo esempio è Nike, che fa così da 40 anni, ispirando le persone con i pezzi di comunicazione più diversi ma accomunati dallo stesso schema. Il presupposto è “se hai un corpo, sei un atleta”; seguono i dubbi, molto quotidiani, che ognuno prova prima di mettersi a fare sport come “piove, sono stanco, magari domani”, e infine la proposition “alzati dal divano ed esci”, ovvero “Just Do It”.
Oppure il bellissimo ‘The Beauty Inside’ di Intel: «Abbiamo un disperato bisogno di essere ispirati dalle storie e i brand hanno la possibilità di farlo» spiega il ceo di Publicis Italy.
Anche Heineken rispetta lo schema portando consistenza nella miriade di sponsorizzazioni, dal calcio alla Formula1. Il presupposto di Heineken è che, guardando le cose da una prospettiva nuova e fresca, ci si gode di più la vita; la tensione è dovuta alla fretta di riuscire a fare tutto quello che lo stile di vita di oggi richiede e che ci fa perdere per strada i momenti migliori; segue la proposition “Welcome to a fresher world”.
E’ nata così la campagna ‘Unmissable’ costruita sull’insight che tra tutti gli impegni e le distrazioni è facile perdersi i momenti della partita che contano. Oltre al film, sono stati realizzati dei recap formato Instagram Stories che in pochi secondi aggiornavano sui momenti ‘da non perdere’ dei match della Champions League, scelti basandosi sui dati social degli utenti. «Funziona grazie alla solida struttura di storytelling di Heineken, che rende più facile il collegamento del contenuto con il brand”.
Un altro caso di successo è quello di Renault ’Ningyo’, una storia ‘componibile’ che non parte dalla macchina ma mette al centro il consumatore. «Abbiamo tante possibilità diverse, ma coerenza e consistenza dicono essere rigide. Altrimenti il contenuto resta puro intrattenimento e non restituisce valore al brand» conclude Bertelli.