Lo dice l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del PoliMi che dà evidenza di come l’emergenza covid-19 abbia accresciuto la consapevolezza tra cittadini, medici e dirigenti delle strutture sanitarie sul contributo del digitale al processo di prevenzione, cura e assistenza.
L’Osservatorio dice anche, però, che l’evoluzione verso il modello della ‘Connected Care’ è ancora incompiuta.
Vero è che i cittadini hanno imparato durante l’emergenza sanitaria ad avere sempre più familiarità con le nuove tecnologie: il 71% di chi ha avuto bisogno di informarsi sui corretti stili di vita lo ha fatto sul web (era il 60% prima dell’emergenza sanitaria) e il 79% intende farlo in futuro; il 74% è interessato a farlo per cercare informazioni su problemi di salute e il 73% per farmaci e terapie.
Le app per la salute più utilizzate sono quelle per mettere alla prova le abilità mentali (28%), per aumentare l’attività fisica (23%) e per migliorare l’alimentazione (14%). Più limitato il ricorso a chatbot e assistenti vocali per l’auto-valutazione dei sintomi.
I più giovani sono i più abituati a usare le app: il 28% dei 25-34enni usava quelle per l’alimentazione già prima del Covid e un altro 17% è interessato a farlo in futuro; il 35% dei 15-44enni lo faceva per migliorare l’attività fisica prima dell’emergenza e il 17% di chi non le ha mai provate lo farà in futuro.
Inoltre, 1 su 4 monitora i dati raccolti tramite app o wearable, utilizzandoli per prendere decisioni sul proprio stile di vita. Il 10% li visualizza ma non li utilizza, perché non affidabili (7%) o di difficile interpretazione (3%). Solo il 5% li condivide con il medico, il 67% non lo ha fatto perché non ha avuto necessità e il 13% perché il medico non era interessato a riceverli. Eppure, una buona percentuale di medici già consiglia alcune app ai pazienti, circa la metà lo farebbe in futuro.