Bene, ma non benissimo: così la percezione di chi lavora nelle agenzie che promuove l’ambiente inclusivo e il contesto piacevole, ma boccia cultura manageriale e chiede maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata
Dopo l’ultima edizione del Rapporto sul mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana (2021), in cui a rispondere erano le aziende, UNA e Almed Università Cattolica hanno raccolto il punto di chi lavora in agenzia, in particolare le generazioni dei Millennial, il 72,4% dei rispondenti. Tanti i segnali positivi, ma tante anche le criticità che emergono dall’indagine.
“Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma non si può far finta di non vedere”, ha commentato Davide Arduini, presidente UNA. “La industry della comunicazione italiana punta fortemente sui giovani, ma non possiamo negare che il divario generazionale esista e debba essere gestito non solo dal settore, ma anche dalle istituzioni, dalle aziende, dalle agenzie. E, soprattutto, dai giovani stessi”, ha aggiunto, anticipando l’inclusione di un loro rappresentante nel Consiglio Direttivo dell’associazione.
L’ambiente di lavoro è considerato solidale e collaborativo dall’80% dei rispondenti, sebbene con un dato più basso tra le donne che, pur essendo la maggioranza della forza lavoro, rispondono con un dato di percezione più basso di 16 pp. Una soddisfazione a metà quando in gioco c’è la possibilità di sviluppare il proprio potenziale (52,8%) e di avere un buon piano di carriera (45,5%), mentre il lavoro da remoto o smart è una buona ragione per scegliere un posto di lavoro per l’81% dei rispondenti.
La concorrenza più forte, sul piano dell’attrattività dei luoghi di lavoro, viene da aziende e società di consulenza. Il settore delle agenzie non remunera adeguatamente per il 49,6% e per più del 50% dei rispondenti è carente in fatto di work/life balance. Solo le società di consulenza fanno peggio in termini di supporto al bilanciamento tra lavoro e vita privata. La ricerca è stata arricchita dalla collaborazione con Great Place To Work (GPTW) che ha permesso di effettuare comparazioni con i settori limitrofi di aziende e società di consulenza.
Bassa fedeltà. Le agenzie non hanno solo problemi ad attrarre talenti, ma anche a trattenerli. Per l’indagine tra il 50% e il 70% intende cambiare lavoro nell’arco di tre anni, soprattutto nelle strutture più grandi, mentre le più piccole hanno un tasso di fedeltà più alto. A voler cambiare presto e spesso sono Millennial, donne e creativi.
Diversità e inclusione sembrano essere traguardi raggiunti e relativamente condivisi, particolarmente percepibili all’interno del team di lavoro mentre ancora restano alcune criticità all’interno dei board, per quanto questi possano contare su una componente femminile più ampia rispetto ad altre aziende in Italia. La composizione del management ha qualche criticità maggiore nel rappresentare un buon esempio di diversità: quasi il 44% non riesce ad esprimere una valutazione positiva, in particolare il disaccordo è maggiore tra le donne e i rispondenti di 25-34 anni.
Carenze manageriali. Il settore delle agenzie sembra avere un grosso problema manageriale, anche se la fiducia è cauta, dice l’indagine. Il nodo non è tanto il comportamento, percepito come onesto ed eticamente corretto dal 64,1%, quanto per la gestione stessa, promossa pienamente solo dal 18,4%. Inoltre, nel confronto con i dati di GPTW, le agenzie risultano più in difficoltà su temi gestionali e di relazione capo-collaboratore: la comunicazione delle aspettative da parte dei manager e tutto il tema della carriera, ma anche del supporto formativo e degli strumenti corretti per svolgere il proprio lavoro, vengono percepiti in modo decisamente più critico in confronto a grandi aziende e società di consulenza.
Per Marianna Ghirlanda, Direttrice del Centro Studi UNA, “siamo ancora attrattivi, ci sono però aggiustamenti che possiamo fare sul piano manageriale”. Risposte, aggiunge, che verranno nei prossimi anni.