Testare, testare, testare. Questa la raccomandazione che emerge con chiarezza dall’incontro online organizzato da Iab Italia sul tema della rivoluzione cookieless e sugli strumenti a disposizione degli operatori per continuare a comunicare in modo efficace.
Chiariamo subito un punto: di soluzioni ufficiali, appoggiate all’unanimità da tutto il settore, non ce ne sono. Ci sono invece una molteplicità di approcci che, singolarmente o combinati, possono aiutare a navigare il nuovo scenario. Allo stesso tempo è necessario che il settore dell’open web rimanga vigile per non perdere ulteriormente rilevanza di fronte allo strapotere delle piattaforme.
Scelta unilaterale. Come spiega Aldo Agostinelli, vice presidente di IAB e Digital Officer di Sky Italia, la scelta unilaterale da parte di Google. che con il suo browser Chrome ha una quota di mercato del 90% in Italia, mette in difficoltà tutta un’industria digitale di publisher che già occupano una posizione marginale – oggi il 25% ma in continua erosione – quanto a raccolta pubblicitaria rispetto alle piattaforme. «Gli editori dovrebbero promuovere il login per abilitare la navigazione e riconoscere i loro utenti, ma in Italia siamo meno sensibili che altrove riguardo questa soluzione, con il tasso di registrazione più basso a livello europeo, preferendo invece il modello che offre contenuti gratis in cambio di pubblicità. La mancanza di una soluzione ufficiale mette ancora più a rischio il settore composto da centinaia di aziende e migliaia di lavoratori».
Un altro elemento è la concentrazione di una quantità incredibile di informazioni sugli utenti in una sola azienda, grazie alla sua onnipresenza, delle quali i cookie sono solo una minima parte.
Ma al di là di Chrome, il traffico anonimo è già una realtà. Già ora il 20% delle impression non è tracciabile a causa di altri browser come Safari e Firefox che hanno abilitato strumenti che ne limitano lo sfruttamento. In altri paesi, come ad esempio quelli scandinavi meno legati a Chrome, questa quota sale addirittura al 50%, spiega Davide Corcione, Country Manager Adform Italia. «Adform, nata in Danimarca, ha già studiato da anni modelli alternativi per l’attribuzione cookieless. Pensiamo che sia possibile lavorare su dati di prima parte e strumenti già esistenti per ottenere modelli efficaci».
L’Italia non è per niente indietro rispetto agli altri paesi quanto a consapevolezza dei cambiamenti che arriveranno il prossimo anno. Secondo una ricerca di Teads solo il 24% degli editori a livello globale ha una perfetta conoscenza dell’ecosistema cookieless a fronte del 52% degli editori italiani che hanno già individuato soluzioni di universal ID e contextual targeting. Il 73% inoltre dice che non aumenterà la richiesta di login, vista la refrattarietà degli italiani alla pratica. In generale, però, c’è ancora perplessità sulla situazione da adottare sottolinea Antonella La Carpia, Global VP Marketing Teads.
Sostanzialmente sono tre le soluzioni per affrontare la rivoluzione cookieless. Quelle connesse a identificativi (ID) deterministici e probabilistici, i primi legati ai dati di prima parte degli editori e che hanno il difetto di essere scarsi, i secondi basati su elementi come il percorso di navigazione che sono più scalabili ma non hanno la stessa accuratezza degli altri. L’ideale sarebbe dunque una combinazione dei due modelli; targeting contestuale; e targeting non più su base individuale ma tramite coorti, raggruppamenti di persone con interessi simili.
Questa è la soluzione Floc proposta da Google e si tratta, spiega Cristian Coccia, Regional VP, Southern Europe and Mena PubMatic, di segmenti “chiusi all’interno del browser, resi disponibili ma non accessibili agli operatori della filiera che su di essi non hanno alcun controllo. Prevediamo di entrare in una situazione di maggior entropia. Gli operatori non possono fare come i dinosauri che guardavano la cometa. Bisogna sperimentare il più possibile oggi per essere pronti domani: aggregare più soluzione di identity, testarle e miscelarle e ottenere reportistica che permetta di avere evidenze. E nel mentre bisogna cercare di ottenere il massimo dalle coorti di Google. Non ultimo, bisogna stimolare l’open web a ridurre il gap accumulato nei confronti delle piattaforme».