Marco Magnaghi (GroupM Nexus): con l’IA è l’approccio che fa la differenza nella cura della strategia media

Gli algoritmi delle piattaforme sono ‘black box’ che non permettono alcuna visibilità sui loro obiettivi, per questo è fondamentale saper costruire algoritmi per il media planning. Il rischio dell’automazione è l’omologazione e la perdita di distintività secondo Marco Magnaghi, managing director di GroupM Nexus

Marco Magnaghi, Managing Director GroupM Nexus Italia

L’hype sull’IA scatenato prima dall’emergere dell’intelligenza artificiale generativa, poi dai crescenti investimenti e dal potenziale trasformativo per l’industria dei media fino al report di Brian Wieser per Google sul futuro del planning, è un velo che nasconde il fatto che l’IA, sotto forma di machine learning, è utilizzata da tanto tempo.

Lo spiega Marco Magnaghi, managing director di GroupM Nexus, con cui BrandNews ha dialogato per definire a che punto sia il percorso della media investment company di WPP in Italia nell’utilizzo dell’IA applicata al media planning, se e quanto abbia trasformato la pianificazione media e se non ci sia il rischio di un’omologazione dei piani media a causa della maggiore automazione.

“In GroupM usiamo l’IA da tanti anni, abbiamo iniziato nel 2016 con il lancio di Co-pilot (niente a che vedere con l’IA di Microsoft, ndr) da parte di GroupM Nexus Media Solutions (ex Xaxis), l’organizzazione dedicata al performance media, fondata non a caso da Brian Lesser, oggi Global Ceo di GroupM. Co-pilot è il nostro motore di IA da ormai quasi 10 anni, anticipando anche lo sviluppo di algoritmi delle altre piattaforme media”, spiega Magnaghi.

Tutto torna, quindi, anche la previsione fatta da Lesser per il quale entro il 2030 nessun piano media sarà più eseguito da una persona umana?

“La previsione è troppo ottimistica per il mercato italiano, per via del suo assetto strutturale e anche culturale. È comunque innegabile che la logica sarà sempre più quella dell’automazione e dell’ottimizzazione delle campagne, introducendo modifiche in modo continuativo. In termini di governance, significa che dobbiamo fidarci di più delle macchine che cercheranno i pubblici più precisi in una logica di ricostruzione delle informazioni mancanti”. Tuttavia, c’è un lato negativo, sottolinea Magnaghi. “Gli algoritmi delle piattaforme sono le loro ‘ricette segrete’ e offrono una visibilità molto limitata sulle modalità di erogazione dei formati mdia, dei target raggiunti e del dettaglio delle modifiche introdotte per migliorare i risultati; è vero che il risultato finale è spesso migliore di una pianificazione gestita in modo manuale, ma l’assenza dei dettagli rende più difficile la raccolta di insight”.

Dunque, in quanto ‘supercharger tool’, l’IA utilizzata dalle agenzie media non riesce a ridurre l’asimmetria con i vari Amazon, Google e Meta? Il gioco non diventa mai alla pari?

“Beh, Co-pilot di GroupM ci permette non solo di ottimizzare le campagne, ma anche di scoprire quelle cose in più che poi condividiamo con i nostri clienti e di ridurre un po’ l’asimmetria nei confronti delle piattaforme comprendendo quali geografie, quali target e quali placement e formati hanno performato meglio; e ci consente anche di conoscere altri dettagli interessanti (dispositivo, ora e giorno, browser e altro ancora”. Considerato che l’80% dell’investimento digitale è gestito dalle piattaforme ed è affidato a logiche di machine learning, è un passo avanti, ma secondo Magnaghi bisogna farne altri, sebbene le caratteristiche particolari del mercato italiano sposteranno un po’ più in là la data del 2030.

Di fatto, sostiene Magnaghi, il mercato continua a ragionare secondo una logica, quella del funnel, vecchia più di un secolo. “Prima abbiamo pianificato per affinità, poi sono arrivati dati a valanga e lo abbiamo fatto in una logica di precisione. Adesso entriamo in una nuova fase, quella predittiva, in cui le macchine vanno a colmare le lacune create dal sempre minor numero di consensi, e nel totale rispetto della privacy ricostruiamo il comportamento di chi non è disposto a condividere esplicitamente le proprie informazioni. L’epoca dei grandi ‘data lake’ sta lasciando spazio ad algoritmi sempre più raffinati che ricostruiscono il comportamento degli utenti, limitando al massimo la movimentazione dei dati fuori dagli ambienti in cui sono creati e utilizzati”.

Artigiani del media. Dice inoltre Magnaghi che ci saranno sempre occasioni in cui bisognerà ragionare in una maniera più artigianale, lasciando la personalizzazione ai professionisti e non alle macchine. “E per fortuna, mi viene da dire, perché il rischio dell’automazione è l’omologazione, la perdita di distintività. L’IA ci aiuta, ma poi sono necessarie competenze tecniche e algoritmi customizzati, data scientist e data analyst, oggi raccolti nella nostra nuova business unit Choreograph, capaci di sviluppare e implementare soluzioni ad alto tasso di innovazione tecnologica e orientare a massimizzare i risultati dei nostri clienti”.

Insomma, l’automazione di livello base insieme con la GenAI è una grande opportunità per le piccole e piccolissime imprese, grandi inserzionisti delle piattaforme, ma non vale altrettanto bene per i big spender che hanno esigenze più complesse?

“Con le macchine è l’approccio che fa la differenza nella cura della strategia”, spiega Magnaghi. “Oggi lasciamo lavorare la macchina liberamente, intervenendo man mano per restringere il focus e questo ci lascia un grandissimo spazio di manovra, anche perché la logica del digitale permea sempre di più tutti gli altri media, dalle TV Connesse al DOOH. In una metafora, è come nelle gare automobilistiche: le macchine sono sempre più simili, il circuito è uguale per tutti, cosa fa la differenza? Il modo in cui si guida, il set-up della macchina, la strategia, la resistenza alla pressione”.

Agenti virtuali. Machine learning da una parte e GenAI dall’altra stanno aprendo la strada all’utilizzo di ‘agenti’, colleghi virtuali – spiega il managing director di GroupM Nexus – “capaci non solo di ottimizzare le campagne, ma anche di sviluppare asset: si apre uno scenario nuovo, molto interessante, che stiamo iniziando a testare per il set-up delle piattaforme, la raccolta di insight, l’ottimizzazione dei numeri che ci permettono di avere molte più informazioni su cui lavorare e ci aiutano a focalizzare l’attenzione sugli aspetti più strategici”.

Questo libera più tempo: vuol dire fare più cose o avere meno persone che lavorano?

“Questo è un tema molto caldo per noi: è vero, con l’IA riusciamo a rendere il lavoro più efficiente e a ottimizzare i carichi, ma non per questo ci servono meno persone. Anzi: le piattaforme continuano ad aumentare e fra un po’ a quelle che conosciamo già si aggiungeranno quelle di retail media. Quindi, con il tempo liberato dall’IA, possiamo pensare di affrontare la frammentazione oltre che investire più tempo nella lettura degli insight, nello sviluppo della strategia, nella ricerca di quello ‘stile di guida’ che fa la differenza”, sostiene Magnaghi, per il quale il 2025 è un anno di svolta e di passaggio a una ‘fase due’, per incrementare il ritorno, reinvestire quello che è stato reso più efficiente, testare nuove iniziative – a cominciare dalla funzione shopping di TikTok che arriva anche in Italia dopo il battesimo in Spagna – ma con una preoccupazione personale non indifferente. “Che al ‘digital divide’ oggi si aggiunga anche un ‘IA divide’, che la velocità sempre maggiore crei un gap ancora più rilevante con chi queste cose le accetta, le capisce e le governa”, avverte Magnaghi.

Anche per questo, perché si parli di più e meglio delle applicazioni di intelligenza artificiale che GroupM è advisor di Plai, l’acceleratore di start-up lanciato dal Gruppo Mondadori, con il suo progetto di open innovation “che avvicina la grande industria alla piccola start-up”, aggiunge.      

A.C.

Marco Magnaghi (GroupM Nexus): con l’IA è l’approccio che fa la differenza nella cura della strategia media ultima modifica: 2025-02-27T10:48:13+01:00 da Redazione

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