Con Ludovica Federighi, Head of Fuse e Head of Content and Entertainment Omnicom Media Group, BrandNews torna sul tema della gestione delle attività dei brand con i creator, della necessità di recuperare il ruolo di intermediazione delle agenzie media e di cambiare la definizione ormai obsoleta di influencer marketing
Il lavoro di intermediazione delle agenzie media passa anche dalla riflessione sulle parole che si usano per definire le cose. Per questo Ludovica Federighi, Head of Fuse e Head of Content and Entertainment Omnicom Media Group, vorrebbe eliminare il termine influencer marketing e sostituirlo con social media entertainment che, nella sua ampiezza, potrebbe raccogliere tutte le attività che vi ricadono.
“Quando nomini una cosa nel modo sbagliato, anche l’uso che ne fai è sbagliato. Parlare di influencer marketing vuol dire continuare a far sì che i brand usino questi personaggi come fossero testimonial, perdendosi di conseguenza altre mille opportunità”.
Per Federighi, alla quale BrandNews ha chiesto di continuare la riflessione sul tema aperta con il contributo di Antonello D’Elia e Andrea Franzoni (GroupM), un pensiero in più va fatto anche sul valore economico di questo comparto. “Il dato dei 323 milioni di euro investiti, secondo le stime presentate nel corso del convegno organizzato da UPA, non racconta tutte le stratificazioni di questa modalità di comunicare. Molto probabilmente è ampiamente sottostimato, almeno secondo la percezione dei nostri clienti che lo utilizzano”.
Social media entertainment. Naming obsoleto e dimensione economica a parte – temi su cui tornerà l’Osservatorio Branded Entertainment, di cui Federighi è consigliere – secondo la Head of Fuse è necessario cambiare atteggiamento nei confronti di questo canale e parlare di social media entertainment comporta una diversa percezione nei confronti dei creatori di contenuti. “Il problema vero è che chi crea contenuti ha una responsabilità editoriale, con la dignità e l’onere che ne conseguono”, aggiunge Federighi, spiegando anche perché non trova corrette le regole dell’Agcom “troppo limitate a una piccola cerchia”. A suo parere, l’ulteriore allargamento a creator con basi numeriche più contenute permetterebbe di attivare il grande tema dell’educazione alla responsabilità da parte di chiunque produca contenuti.
Educare alla responsabilità. Il ragionamento di Federighi è tanto semplice quanto inoppugnabile: “non è che un supermercato piccolo debba avere meno regole di uno grande”, sostiene. Così i brand si assumono le loro responsabilità “editoriali” dal momento in cui iniziano a creare contenuti e dovrebbe essere compito delle agenzie media, insiste la manager di Fuse, fare questa battaglia per educare i clienti, anche alla luce della loro “enorme forza economica e dell’impatto etico”. Anzi, la responsabilità delle agenzie media, aggiunge, è doppiamente rilevante “perché abbiamo strumenti e competenze per affrontare questo percorso e affiancare i clienti”.
Recuperare la mediazione. Ecco, quindi, che torna in ballo il discorso dell’intermediazione, di cui forse il mercato ha tentato di liberarsi un po’ troppo in fretta. “Sì, il ruolo di intermediazione va rivalutato, per la nostra capacità di studiare criticità e il nostro essere un partner affidabile, anche a costo di essere pedanti”, conferma. Vero è, però, che la produzione di contenuti digital è spesso uno dei primi lavori che vengono portati in-house dalle aziende.
Anche per questo Federighi insiste sulla necessità che l’agenzia media faccia da mediatore tra brand e creator, una sorta di facilitatore affinché le aziende considerino i creator “come veri e propri partner di comunicazione, adattandosi a perdere un po’ il controllo”. Per parte sua, Fuse / OMG utilizza già da alcuni anni un sistema integrato di valutazione, basato sulla piattaforma proprietaria TheSeeker, e fa un lavoro costante di aggiornamento dei propri clienti, con uno studio periodico e una serie di strumenti non solo quantitativi per capire cosa cambia e come in un mondo, come quello dei social, che va sempre molto veloce.
Sinergie. E sempre sull’importanza del recupero di posizioni dell’agenzia media e del suo ruolo nell’accompagnare i clienti educandoli, Federighi ricorda che appena scoppiato il caso Ferragni-Balocco (cui si sono aggiunti anche i casi Dolci Preziosi e Trudi) “temevo che i brand si spaventassero e bloccassero ogni attività in corso, invece tutti hanno chiesto consulenza e strumenti per leggere in profondità quanto stava accadendo. Merito, anche – aggiunge la manager Fuse – dell’aver innescato all’interno del gruppo e con i clienti “sinergie interessanti con le agenzie creative” e del fatto che sempre più i team sono integrati e interdisciplinari e i compartimenti meno stagni.
A.C.