Perché alle aziende dovrebbe interessare il metaverso in questa fase di pura sperimentazione. Lo hanno raccontato a Brand News Julian Prat, Cso di Wavemaker Italy, e Antonello D’Elia, Consulting manager di GroupM Italy
In coerenza con il suo posizionamento ‘positive provocation’, Wavemaker ha avviato una nuova serie di interventi di approfondimento con ‘The Provocateur’, dedicando il primo appuntamento al tema del metaverso/multiverso.
Come affrontarlo, perché farlo, quali riflessi potrebbe avere per il business e se potrà diventare il nuovo internet – il cosiddetto web3 – sono i temi discussi da Julian Prat, Chief strategy officer di Wavemaker Italy, e Antonello D’Elia, Consulting manager di GroupM Italy, ripresi anche nella conversazione con BrandNews.
Nel metaverso l’agenzia guidata da Luca Vergani crede molto e ha creato un gruppo di lavoro trasversale. Prat e D’Elia alternano riflessioni teoriche e sperimentazioni pratiche, il primo con una avatar su Decentraland per sperimentare in prima persona come avviene l’interazione tra avatar e brand, il secondo osservando da molto vicino il mondo del gaming e le implicazioni sulla società, i media e i consumi.
Cercare di capire cos’è e come funziona e stabilire le prime regole per muoversi con maggiore sicurezza in un ambiente del tutto sconosciuto, con una pratica che “oggi è intersecazione di aspetti economici, tecnologici e giuridici”, spiega D’Elia, il quale, con la unit di Business Intelligence & Insight supporta Wavemaker e le altre agenzie media di GroupM con ricerche, analisi e stime.
“Questa è una fase di pura sperimentazione, in cui le aziende tendono ad avere un profilo prudente e utilizzano le funzioni più controllabili come gli NFT per capire quali potranno diventare le nuove leve di marketing”, spiega Prat. Una logica che nel nostro paese è però ancora in una fase iniziale di sperimentazione. “In Italia, abbiamo visto poco, ma intercettiamo grande interesse dalle conversazioni con i clienti, soprattutto perché capiscono che l’evoluzione è molto veloce”, aggiunge Prat convinto che a tendere non ci sarà un unico ambiente, così come è accaduto nel web2 in cui “quasi ci siamo abituati a vedere le big tech dominare le nostre vite digitali”.
La cosa nuova è proprio il modello decentralizzato, “un paradigma diverso dal modello centralizzato a cui siamo abituati, per questo vogliamo far vedere alle aziende che non si tratta di una cosa in più, ma di una rilettura delle leve di marketing”, continua Prat.
Educational. Per questo Wavemaker ha iniziato a fare educational con i propri clienti, parlando di ambienti in sostituzione dei media così come li abbiamo conosciuti, raccontando di confini molto sfumati in cui convergono, mischiandosi, attività diverse.
“Da un punto di vita di marketing, è la realizzazione del sogno di tenere tutte le attività in uno stesso ambiente”, dice D’Elia. “Non ci sono limiti ai settori merceologici, almeno dal punto di vista delle attività di comunicazione. Ad oggi lo vediamo come un passo avanti nella relazione o engagement alla portata di tutti”, aggiunge Prat.
I fondamentali restano sempre la guida: continuare a lavorare sulla marca con un approccio strategico; rispondere ai bisogni delle persone – il CRM nel metaverso/multiverso ci sta benissimo -; sperimentare facendo convergere creatività e media “perché prendere un trofeo e tokenizzarlo è un’attività creativa”; prendere il gaming molto sul serio perché è un ambiente dove le persone di ritrovano e le aziende possono sperimentare con investimenti soft.
Vincere la resistenza del vecchio mondo, analogico e digitale centralizzato, considerare i rischi non percepiti non solo da un punto di vista finanziario – per esempio, il tema dell’addiction nel gaming -, scontrarsi con bias culturali e generazionali, affrontare il tema della sostenibilità e dell’impronta carbonica del digitale, ridisegnare il customer journey in modalità phygital. Il programma è vasto, quasi come l’audience potenziale, 10 milioni di persone, il 49% dei 16-44enni in Italia, “destinato, da una parte, a seguire la volatilità delle mode effimere e delle crisi temporanee a cui stiamo già assistendo, dall’altra a rispondere in modalità nuove a bisogni profondi che nel digitale troveranno soluzioni imprevedibili”, conclude D’Elia.