Secondo il sociologo Francesco Morace la sfida tra intelligenza artificiale e originalità umana è ormai “irrevocabile”, anche per il settore del marketing
Dal 18 al 21 ottobre torna a Milano il Festival della Crescita organizzato da Future Concept Lab che, giunto al quarto appuntamento e diventato un vero e proprio tour, quest’anno affronta il tema della progettualità per l’educazione e lo sviluppo dei talenti, individuali e territoriali.
In contemporanea, esce ‘Futuro+Umano’, il nuovo libro del sociologo Francesco Morace che affronta “quello che l’intelligenza artificiale non potrà mai darci” e le implicazioni dell’incontro tra tecnologia ed empatia.
Una sfida, quella tra intelligenza artificiale e originalità umana, che Morace definisce “irrevocabile”. Perché?
«Perché è in questa sfida che risiede il nuovo vantaggio competitivo. Le aziende, il loro marketing, le scelte di comunicazione e retail, dovranno saper intercettare in modo credibile le espressioni dell’umano, confrontandosi con l’intelligenza artificiale. Il lavoro di riflessione sul sistema di relazioni e comunicazioni a 360 gradi che caratterizza l’orizzonte digitale, dovrà accettare una premessa di unicità che incarna la sfida dell’umano: comprendere e utilizzare il concetto di ‘prototipo’ che va a sostituire quello di ‘tipo ideale’. Questo passaggio è difficile da comprendere, ma necessario alla sopravvivenza dei comunicatori: il prototipo è unico, aperto, sperimentale, irripetibile così come si sente ciascuno di noi. Seguendo questa direzione, nel giro di pochi anni la comunicazione si trasformerà da portatrice di messaggi per ‘idealtipi’ in abilitatrice di riconoscimento, sperimentando nuove possibilità per ciascuno: così funzionano i social network, in particolare Instagram. Un istante, uno scatto, un’immagine che blocca l’unicità di ciascuno. La priorità per i ConsumAutori, in ogni generazione, diventa: essere protagonisti, riconoscersi collettivamente nella dimensione della soggettività, in modo unico».
L’AI è in grado di processare grandi quantità di dati e anche di imparare, ma è anche in grado di avere una ‘visione’ strategica del futuro?
«No: l’intelligenza artificiale è meaningless, non può dare un senso e un significato – tanto meno strategico – a ciò che processa e impara. La visione strategica è e rimarrà responsabilità umana. Più il presente verrà letto e interpretato attraverso le correlazioni dei Big Data, più avremo bisogno di una nuova lettura del futuro che proponga uno scarto strategico: possiamo definirla Vision e le macchine non potranno mai fornircela! E quindi ne avremo estremo bisogno: la visione strategica diventerà il vero lusso del futuro …»
Quali sono le implicazioni per i brand in questo nuovo scenario?
«Sono enormi. Nella reciprocità del riconoscimento, la forma comunicativa del brand riguarda il pathos, cioè ‘un legame unico’ di seduzione light con le persone, che a volte (soprattutto con i target più esposti come quello degli adolescenti) si trasforma in deriva patologica e in forme diverse di dipendenza.
Nell’iper-connessione si entra in relazione per sentire, capire, scambiare esperienze e i brand diventano protagonisti di questo scambio, nel bene e nel male. La comunicazione dei social conquista il ruolo di protagonista senza mediazioni, di sperimentazione in praesentia, secondo le regole dell’amplificazione, dell’automazione, e dell’aggiornamento permanente.
Nel libro spiego che bisognerà attivare le tre dimensioni della curiosità, della passione, della cura, alimentando la potenza della comunicazione e facendo incontrare la quantità con l’intensità, intercettando ‘la vita vera’ delle persone. Una sfida che dovrà trovare manager e creativi attrezzati in modo nuovo: il libro cerca di fornire nuovi strumenti di lettura e di intervento in questo scenario».