Allo IAB Forum è intervenuto il ministro della Trasformazione Digitale ucraino, Alex Bornyakov, che ha spiegato come il suo paese in pochi anni sia riuscito a mettere in piedi un ecosistema che promuove l’iniziativa privata e possa proporsi come partner per le aziende tecnologiche (anche di marketing) da tutto il mondo
Partito come imprenditore del marketing digitale e dal 2019 ministro della Trasformazione Digitale in Ucraina, Alex Bornyakov è intervenuto allo IAB Forum per raccontare cosa c’è dietro il boom tecnologico che il suo paese ha avviato e su cui conta molto per la ripresa post-bellica. Nel settore del digitale dal 2004, nel 2019 ha infatti lasciato la multimilionaria società di digital marketing da lui fondata, Adtelligent, per diventare ministro, un “servitore del popolo” accanto al suo Presidente Volodymyr Zelenskyj, parafrasando la serie tv in cui recitava. A intervistare Bornyakov insieme al general manager di IAB Sergio Amati, anche Corrado Passera, Ceo della banca Illimity e anche lui manager prestato alla politica, in un ruolo simile e in un ‘governo d’emergenza’, come ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti dal 2011 al 2013 nel governo Monti.
Autodidatta del marketing, l’attitudine imprenditoriale di Bornyakov è stata la competenza chiave che ha spinto Zelens’kyj a chiamarlo affinché le aziende si potessero fidare di una persona con una prospettiva di business per trasformare l’Ucraina in “uno dei maggiori hub IT dell’Europa orientale”.
“Ho realizzato che non c’era nulla in Ucraina che permettesse alle persone di creare facilmente aziende tecnologiche. Quando ho iniziato io non c’erano né scuole ne università di questo tipo, dovevi imparare tutto da solo. E non c’era nessuna indicazione su come creare un business e navigare le sue complessità” ha detto Alex Bornyakov.
La svolta IT per l’Ucraina è iniziata dopo la caduta del Muro di Berlino. «Di sicuro è servita la forte formazione matematica che proveniva dall’Unione Sovietica – spiega Bornyakov – ma la differenza l’hanno fatta le centinaia di piccole scuole private di informatica che arrivavano quando le università non riuscivano a coprire la domanda e in sei mesi sfornavano sviluppatori junior, project manager. Ora abbiamo anche tanti corsi di marketing digitale in cui le persone possono formarsi e conoscere come funziona il settore».
Oltre alla formazione, ha contato molto la flessibilità a livello burocratico. Nel 2020 Alex Bornyakov ha promosso la creazione di una zona economica virtuale, chiamata Diia, che offre alle aziende informatiche ucraine la possibilità di ottenere vantaggi fiscali come una tassazione al 9% sulle imposte societarie, la metà del normale. «Dato che i talenti che lavorano presso le aziende IT sono gli asset più importanti e contemporaneamente sono la maggior voce di spesa, le tasse sul lavoro sono cinque volte inferiori. Abbiamo introdotto nella legislazione ucraina anche altre cose che non esistevano prima, per rendere più facile la raccolta di capitali, la gestione degli investimenti e delle partnership, molto importante se sei una startup.
Come abbiamo avuto questa idea? Perché in Ucraina, a differenza probabilmente di India e Vietnam, non c’è un unico luogo fisico in cui puoi metterti costruire uffici fisici. In ogni grande città ci sono un paio di università tecniche, un paio di grandi aziende, e pure qualcuna nelle città piccole» dice Bornyakov, citando tra i vari unicorni ucraini l’impresa di sistemi di sicurezza domestica Ajax, venduti in oltre 100 paesi.
Tutto ciò non è stato facile, anche dal punto di vista culturale, visto che l’impresa privata in Ucraina, che per decenni è stata parte dell’Unione Sovietica, viene vista ancora da molti come negativa. «Anche i miei genitori non volevano che diventassi un imprenditore, ma che facessi qualcosa in ambito statale o militare. Quindi dobbiamo fare molti sforzi per cambiare questa mentalità. Pensiamo che la classe media, come accade anche in Italia, sia ciò che costruisce una nazione, e che una nazione mantenga in salute la sua economia grazie alla classe media. In questo le startup svolgono un ruolo centrale, così cerchiamo di sostenerle in ogni modo. Abbiamo il fondo start-up ucraino, che finanzia le aziende nelle fasi iniziali ed è diventato il più grande investitore privato del paese. Se hai un’idea, puoi facilmente ottenere una sovvenzione dal governo per creare almeno un prototipo di qualcosa. C’è anche un cluster tecnologico per la difesa, chiamato Brave1, con procedure accelerate: l’abbiamo lanciato a fine aprile e già abbiamo circa 700 nuove aziende che prima non esistevano e alcune di queste hanno un fatturato superiore a 100 milioni di dollari».
Che vantaggi più avere l’Italia in tutto questo? «Stando in questo settore, Diia è attiva anche nel marketing digitale. Le aziende italiane possono inoltre collaborare facilmente con ingegneri ucraini se desiderano estendere le proprie capacità di sviluppo, con una tassazione agevolata. In terzo luogo, diamo il benvenuto a qualsiasi azienda che possa contribuire con le proprie tecnologie alla difesa, che provenga dall’Italia o da qualsiasi parte del mondo. Sul sito web del cluster Brave One, c’è un form appositamente progettato per le aziende internazionali».
Nella messa a punto della legge sulle startup, che ha permesso di applicare ad esse regole diverse rispetto alle aziende consolidate, il governo ha ottenuto un forte sostegno in parlamento per tre ragioni: «Intanto ci siamo ispirati alle migliori case history da tutto il mondo e le abbiamo copiate. In secondo luogo, abbiamo deciso che dovevano essere cambiate tutte le componenti dell’ecosistema, non solo incentivi o legislazione fiscale, ma leggi societarie, leggi fiscali, leggi sul lavoro, meccanismi di raccolta fondi, come il crowdfunding, ecc. La cosa difficile è stata cambiare la legge sulla bancarotta, perché fino a quel momento, se capitava entravi nella lista nera. Come puoi favorire nuove startup se punisci coloro che non riescono a farcela? E alla fine, l’abbiamo cambiata. Terzo, abbiamo coinvolto tutti gli stakeholder. Abbiamo raccolto le proposte delle startup, dai fondatori a chi investe, e anche dai regolatori. La combinazione dei migliori benchmark, la visione completa dell’ecosistema e l’inclusione di tutte le parti interessate ha reso quella legge un successo. Quella legge è stata sostenuta anche successivamente, è stata migliorata ma senza ricominciare da zero, perché la preoccupazione è che a ogni cambio di governo si debba ricominciare. Invece in questo caso quella legge è stata mantenuta, è stata difesa e penso che sia stata un successo».
F.B.