A Linkontro, NielsenIQ ha parlato di uso strategico del retail media in ottica win-win-win per consumer, brand e retail
Posto che i dati non mancano, che esistono i data lake, le DSP, le clean room accanto alle care vecchie carte fedeltà, appare inappropriato limitare il retail media a una mera questione di spazi pubblicitari dove apporre loghi.
Nella seconda giornata de Linkontro, l’evento organizzato da NielsenIQ, si è parlato di retail media e di come questo, nel contesto dominato dalla tradizionale frammentazione del retail italiano combinata con una crescente polarizzazione degli shopper, possa abilitare nuove modalità strategiche di ottimizzare gli assortimenti per migliorare le rotazioni a scaffale, perfezionare le iniziative media di drive2store, proximity marketing e comunicazione instore per aumentare la fedeltà al punto vendita.
«Per non perdere competitività in un contesto così complicato, è importante aprirsi a nuove forme di data sharing» spiega Stefano Cini, Commercial Director FMCG, NIQ Italia. «Non dobbiamo cadere nella trappola della media del pollo, perché non tutti i retailer stanno calando e non tutti i consumatori spendono di meno. La combinazione dei dati territoriali (composizione familiare, stile di vita e stile d’acquisto) con i dati di traffico (fisico e online) e i dati prima parte (CRM, carte fedeltà) ci permette di intercettare quei target che non soffrono perdite di volume. I retailer devono lavorare in ottica di differenziazione e precisione».
Microterritorialità. Niccolò Beati, TradeDimensions Leader di NIQ Italia, e Gianluigi Crippa, Senior Partner di Jakala, hanno portato un esempio di come l’analisi microterritoriale abbia permesso di identificare le famiglie adulte senza figli, con comportamenti d’acquisto, di fruizione mediale e capacità di spesa sopra la media interessanti, un target molto reattivo quando viene intercettato con i messaggi giusti nei momenti giusti. L’esempio si è concentrato nell’area di Napoli, che presenta nei suoi quartieri una forte eterogeneità di nuclei familiari. In questo caso, sono stati profilati gli utenti dei singoli negozi scoprendo come sia possibile modellare l’assortimento sui precisi bisogni manifestati dai clienti, evitando di ‘sparare nel mucchio’.
Il retail media si avvia a valere a livello globale 241,7 miliardi $ a livello globale (dati Warc) e in Europa potrebbe raggiungere i 25 miliardi nel 2027 (dati IAB Europe). Come spiega Xavier Facon, Global Product Leader di NIQ, la definizione di retail media cambia a seconda dell’interlocutore, anche se dovrebbe mettere d’accordo tutti il descriverlo come una partnership trasparente incentrata su dati e insight e come la convergenza di trade, shopper, brand marketing e personalization at scale. Quando la strategia funziona, il retail media si dimostra una soluzione win-win-win, per i consumatori coinvolti in modo tempestivo, con contenuti di valore ed esperienze personalizzate, per i brand che possono accedere a insight chiave, ottimizzare la spesa media e fare investimenti più intelligenti, e per i retailer che possono ottenere ricavi incrementali e coinvolgere meglio clienti e fornitori.
Attenzione però che non tutto il budget stanziato dalle aziende per il retail media è incrementale. Quasi tutti i marketer hanno dichiarato che buona parte viene distratto dal budget trade marketing destinato ai retailer. Per far si di godere di più budget incrementale possibile, i retailer dovrebbero valorizzare le migliori data capability per convincere i brand a non toccare il budget trade e spostare invece quello dedicato a sponsorizzazioni, eventi e promozioni, brand marketing e digital.
Non mancano i problemi riscontrati dai marketer, come la mancanza di collaborazione, l’incapacità di separare le promozioni a scaffale dal retail media, ma soprattutto la mancanza di standard nel reporting tra i vari retailer, citato come una barriera dal 70%. Secondo Facon, per sbloccare i budget di retail media i retailer dovrebbero puntare su collaborazione e trasparenza, attraverso piattaforme per la condivisione dei dati e fornendo metriche comparabili, seguendo degli standard condivisi; dimostrare il valore oltre il Roas, condividendo insight d’interesse su supply chain, marketing, shopper e category management in tempi rapidi, quantomeno appena dopo il completamento di una campagna; e infine fornendo una gamma di soluzioni in linea con le aspettative dei clienti.
Un esempio di partnership collaborativa tra brand e retailer è stato offerto da Mara Panajia, President and General Manager, Henkel Italia, e Giorgio Santambrogio, ceo di VéGé Group. Panajia ha sottolineato come sia cruciale avere in azienda degli specialisti di shopper marketing in grado di analizzare, interpretare e azionare i dati forniti da partner come NIQ, sfruttandoli non solo per azioni push e sell in, ma anche azioni push orientati a brand marketing e sell out, tenendo sempre lo shopper al centro delle strategie. Ha anche sottolineato come l’azienda, che ha iniziato da fine anni ’90 a investire in dati attraverso il magazine e poi community-osservatorio Donna D, ritenga importante unire questi dati di prima parte con quelli dei retailer, lavorando insieme condividendo i database.
Santambrogio ha spiegato che oggi non esistono più la store loyalty e la brand loyalty a causa della moltiplicazione dei touchpoint. «Non siamo più noi a invitare il consumatore a venire a trovarci, ma dobbiamo seguirlo nel flusso dello shopping, tra delivery, click and collect, locker, ecommerce, rider. Dobbiamo riesplorare l’ecosistema e surfarlo e per essere là dove il cliente ritiene utile. Fare retail media non è appiccicare loghi su nuovi spazi, ma investire in tutti gli strumenti possibili per andare a vedere immediatamente l’effetto della comunicazione sui consumi».
F.B.