Una riflessione da parte di Marco Faccio, fondatore e presidente di Hub09, che spiega come sia possibile ridurre l’impronta di carbonio degli strumenti di comunicazione progettandoli meglio
di Marco Faccio, Hub09
Odio i modelli, lo premetto perché sia chiaro. Tutti i guru, le agenzie, i super professionisti che raccontano soluzioni attraverso formule definitive, mi fanno orrore. Sono della vecchia scuola, penso che ogni marca debba e possa comunicare in modo diverso, dimostrare la propria personalità attraverso l’adv esattamente come fa a scaffale attraverso i propri prodotti.
Però è possibile parlare di atteggiamenti virtuosi, di quelli sì. Viviamo in un’epoca dannatamente veloce, che brucia tutto quello che può in un istante. Forse è il momento di fermarsi un attimo, di riflettere veramente su cosa possa migliorare la nostra vita e soprattutto quella del pianeta che ci ospita.
Molte aziende si affannano (giustamente) per ridurre il proprio impatto: filiera corta, packaging innovativi, riciclo, stagionalità, tecnologia… e usano la comunicazione per comunicare questi sforzi a favore dell’ambiente. Ma cosa fanno per ridurre l’impatto della comunicazione stessa? Spesso poco… e le agenzie? Forse meno.
Già, non ci pensiamo mai a quanto inquiniamo con i nostri messaggi, i nostri post, spot, WhatsApp, siti e chi più ne ha più ne metta!
Scopriamolo: l’impatto medio di utilizzo dei social da parte di una persona, ogni sessanta secondi, è pari a 1,15 grammi di CO2 equivalente. Dunque, calcolando che in media passiamo 2 ore e 24 minuti su queste piattaforme (Global Web Index 21), l’impatto quotidiano del nostro utilizzo è pari a 165,5 grammi di CO2, 60 chilogrammi di C02 in un anno, pari all’impatto di un’auto che percorre 550 km. Torino – Roma con un’utilitaria, più o meno. Questi numeri apparentemente piccoli vanno moltiplicati per 4 miliardi di persone. Numeri piccoli che diventano giganteschi.
L’information technology genera il 4% delle emissioni di CO2 a livello globale e si prevede che entro il 2025 questa percentuale raddoppierà.
E stiamo parlando di ognuno di noi in quanto “fruitore” di comunicazione… pensate se dovessimo sommare a questi numeri le immissioni frutto della produzione ed erogazione dei contenuti…No, non voglio farlo.
È per questo che dobbiamo iniziare a ragionare in modo diverso, cercando di razionalizzare, di organizzare, di cambiare. Vogliamo immaginare un atteggiamento da proporre ai clienti che ci permetta di ridurre i consumi e, contemporaneamente, di migliorare la qualità della vita lavorativa.
Impossibile? Impossibile è quello che non si ha il coraggio e la costanza di realizzare. Sono tre i “pilastri” sui quali è possibile agire:
1) SITO. Il sito aziendale (o il sistema di siti aziendali) va studiato secondo le più moderne logiche di risparmio energetico e di trasparenza, riducendo tempi di caricamento, aumentando la reperibilità da parte dei motori di ricerca e avvalendosi di servizi di hosting a impatto ambientale ridotto. I siti green non sono una novità ma sono poche le aziende che li hanno e ancor meno le agenzie che li propongono. Pensate che assurdità: brand che parlano del proprio bilancio di sostenibilità e lo fanno attraverso un sito non sostenibile. Assurdo.
2) SOCIAL. Dovremmo smettere di parlare di PED e iniziare a parlare di PES (Piano Editoriale Sostenibile). Bisognerebbe lavorare sulla leva della qualità a favore della frequenza. Pochi contenuti, di alta qualità e rilevanti per la marca e per i consumatori. Sostenibilità vuol dire ridurre l’impatto di CO2, ma anche in termini di “spazzatura” contenutistica gettata in rete, data in pasto alle persone. Così come dovremmo impegnarci a rendere migliori i metri quadrati di pianeta che la sorte ci ha affidato, dovremmo impegnarci a rendere migliore anche il nostro ambiente digitale. Meno contenuti, meno interazioni, meno emissioni, meno contenuti inutili. Un atteggiamento sostenibile su social passa anche attraverso una scelta oculata del contenuto e l’ottimizzazione del dialogo.
Anche nella produzione potremmo pensare di usare metodologie che ci consentano di ottimizzare riducendo l’impatto.
3) ORGANIZZAZIONE DEI FLUSSI DI LAVORO e degli strumenti tra l’azienda, l’agenzia e gli altri attori che partecipano al sistema di comunicazione. Fluidificare il lavoro scegliendo i tool corretti e usandoli con disciplina, regolamentare gli spostamenti e i momenti di confronto, lavorare in partnership reale, porta a una riduzione del consumo di Co2 ma soprattutto a un miglioramento della vita lavorativa di tutti, e anche questo è sostenibilità.
Apparentemente sono solo banalità, cose che sappiamo tutti ma che non mettiamo in pratica mai.
Si tratta di un atteggiamento che raramente viene messo a sistema e calato nella quotidianità.
Sono cose semplici, piccole, che però non abbiamo il coraggio di cambiare. Eppure si inquinerebbe meno, si vivrebbe meglio e si risparmierebbe pure.
HUB09 vuole intraprendere questo percorso, perché come detto, le cose impossibili sono solo quelle che non si ha il coraggio di cambiare.