‘Decoding Change’ è il tema della 20a edizione di IAB Forum, in corso oggi e domani a Milano. Nella prima giornata sono intervenuti esperti e thought leader tutti italiani per illustrare le parole del cambiamento: innovazione, scienza, competenze, disuguaglianze, sostenibilità, tecnologia, AI, trasformazione digitale, vita
Internet oggi non è più un mezzo ma un ambiente, un luogo che ha bisogno di regole precise, condivisibili e che tutti dobbiamo rispettare se non vogliamo trasformarlo in un Far West.
È il presidente di IAB Italia Carlo Noseda a introdurre la 20a edizione di IAB Forum, ricordando quant’era diverso internet nel 2003. Gli utenti al mondo erano solo 800 milioni e oggi 5,5 miliardi, i siti web erano 40 milioni e ora sono 2 miliardi, le ricerche su Google erano 200 milioni e ora 4,6 miliardi.
«Questi numeri danno una visione completamente diversa rispetto alla rete di oggi, pervasiva, liquida, che ci accompagna sempre e che è una straordinaria opportunità per tutti – spiega Noseda -. L’Italia nel rapporto DESI non è più fanalino di coda ma ha ancora un gap enorme con i paesi in testa alla classifica. Ci sono cittadini che ne approfittano in modo incredibile, altri che si limitano a usarla per l’intrattenimento. Il 5G è già una realtà ma non abbiamo ancora iniziato a sfruttarlo, e per farlo servono le competenze. Il digitale ci ha abituati alla semplicità, dietro la quale però c’è il lavoro immane di persone. La semplicità viene data per scontata. Ecco, oggi vogliamo andare a scavare nelle parole che usiamo con superficialità tutti i giorni».
Che fare innovazione in Italia sia possibile, e in passato si sia stati a un passo dal riuscirci veramente, lo racconta sul palco di IAB Forum Paolo Colombo, professore ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche Università Cattolica, con lo speech ‘Olivetti: dove è cominciato il futuro’ (per chi volesse recuperare, su Spotify è disponibile il suo podcast prodotto da Il Sole 24 Ore ‘Olivetti, l’occasione perduta’): “Nel 1964 qui in Italia abbiamo inventato il primo PC con ingegno, lungimiranza, fiducia nei giovani, facendo germinare una pianta che, apparente paradosso, nel futuro aveva le proprie radici. Per poco tempo siamo stati noi la Silicon Valley. Questa storia insegna che possiamo farlo qui, ora, noi”.
Un faro sul digital divide che continua ad esserci in Italia lo accende Stefano Scarpetta, direttore per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’OCSE, sottolineando che con la DAD un 30% di giovani è stato lasciato indietro, che tanti ragazzi di 13 anni oggi hanno competenze digitali bassissime e che si approfondisce il divario tra white e blue collar. Una distanza che è emersa sempre durante la pandemia con l’opportunità dello smart working, colta però solo dai lavoratori ad alta competenza per cui il confinamento è stato molto meno drammatico.
Il tema delle competenze nel lavoro è stato affrontato da Marco Girelli, ceo Omnicom Media Group Italy, Cristina Calabrese, a.d. di Key2people, e Roberta Cocco, esperta di trasformazione digitale, che hanno suggerito le parole chiave: contaminazione, trasformazione continua, data discussion, sharing culture, saper ascoltare e comunicare.
Per Cocco il digitale non è più un addendum al mondo del lavoro e dell’innovazione: “per la prima volta abbiamo più posti di lavoro che lavoratori ma molto spesso il focus viene messo sulla percentuale di disoccupazione giovanile e femminile. Un gap che si può ridurre grazie alle competenze tecnologiche e digitali e facendo sistema tra pubblico e privato, grazie anche alle risorse del PNRR”.
Per Calabrese oggi va ripensato il concetto di leadership che deve essere in grado di “gestire e creare il tessuto affinché nuove competenze emergano, con un obiettivo di senso, purpose, impatto. Le nuove generazioni chiedono e scelgono questo tipo di aziende, capaci di condividere cultura, senza controllo verticistico”.
IAB Forum continua domani con i dati e i numeri del mercato pubblicitario digitale.