Branding e-volution: la tv è il top per la costruzione della marca. Influencer, branded content e CTV le ‘rising star’

L’edizione 2022 della ricerca Branding e-volution promossa da UPA e School of Management del Politecnico di Milano ha rilevato il ruolo di mezzi e strumenti di comunicazione nel brand building nell’ecosistema digitale e l’impatto che ha avuto la pandemia sulle strategie delle aziende

Le strategie delle aziende hanno risentito dell’impatto della pandemia, con l’aumento nell’ultimo biennio degli investimenti in attività di sales activation. Ha fatto così il 40% degli inserzionisti, ma questa quota dovrebbe ridursi nel prossimo futuro dato che il 32% degli intervistati prevede una crescita degli investimenti in attività di brand building, contro il 26% che continuerà ad aumentare la quota di investimenti collegata alle iniziative di breve termine. Questi i risultati della ricerca ‘Branding e-volution’ promossa da UPA e School of Management del Politecnico di Milano, presentata ieri a Milano.

La tv lineare si conferma regina, scelta dal 57% per la sua efficacia nella costruzione della marca, seguita da eventi e sponsorizzazioni (43%), digital video (42%), il branded content (39%), gli influencer/creator (30%). Queste ultime due leve, insieme alla tv connessa, sono state individuate dalla ricerca come le principali ‘rising star’ per gli investimenti pubblicitari rivolti al brand building.

«Accanto alla tv, vediamo che le marche utilizzano una nuova varietà di media digitali con obiettivi di costruzione della marca. Tra tutti emerge l’utilizzo di influencer e creator, utilizzati sia in funzione di branding (35%) che per le sales activation (55%)» commenta Nicola Spiller, responsabile dell’Osservatorio Omnichannel CX e Digital Marketing & Strategy Advisor del MIP Politecnico di Milano.

Interessante anche il legame tra i cosiddetti mezzi classici come la tv con i loro corrispettivi digitali. «Il digital video costituisce il mezzo che meglio si affianca alla tv per ottenere sia reach incrementale che per aumentare la frequenza – aggiunge Spiller -. Così accade con l’abbinamento di radio e digital audio e del content marketing con gli influencer».

Sul fronte creativo, la ricerca rileva il dato positivo che oggi la maggior parte delle aziende usa creatività sviluppate ad hoc per ogni mezzo oppure crea comunicazioni neutre rispetto al media.

 

Le ‘rising star’ influencer marketing, branded content e tv connesse sono state oggetto di un approfondimento a cura di Alberto Vivaldelli, responsabile digital di UPA. In particolare influencer e branded content vanno spesso a convergere per obiettivi anche se con alcune differenze. «Il branded content lavora nella parte alta del funnel e sulla brand equity. L’influencer marketing su una porzione di funnel più ampia e su KPI come engagement e intention to buy» dice Vivaldelli.

Ma sulla loro misurazione talvolta si apre un gap: il più delle volte sono misurati engagement e dati quantitativi legati all’erogazione di una campagna, mentre una minima parte misura ROI e brand building, un po’ per la mancanza di mancanza di metodologie condivise e un po’ per i costi di accesso alla misurazione alti. Il 12% delle aziende, percentuale bassa ma non irrisoria, non misura affatto il branded content.

Quanto ai partner per la realizzazione di tali iniziative, le agenzie media appaiono il partner preferito, seguito da broadcaster, agenzie creative/fullservice e in misura minore concessionarie e case di produzione. «Vediamo una convergenza sul branded content di una pluralità di attori che si contendono lo stesso osso. In questo senso, dovranno definire meglio le rispettive specializzazioni».

La tv connessa oggi la pianificano il 43% delle aziende, ma essendo un ambito in profonda evoluzione è possibile una crescita marcata nei prossimi mesi, dato che buona parte del campione dice che aumenterà gli investimenti in futuro. La tv connessa viene scelta per la sua capacità di garantire un retargeting più mirato, ottenere reach incrementale, per l’opportunità di creare un media planning customizzato, per l’addressability. Fondamentale è però la costituzione di una currency cross-media per la misurazione: il 72% del campione la ritiene uno strumento irrinunciabile per il futuro.

La misurazione del valore del brand è una priorità per le aziende: negli ultimi due anni, l’89% dei rispondenti ha investito in attività di misurazione del brand. Una percentuale minore si dedica a un’analisi verticale della brand lift, ovvero il contributo che le singole iniziative digitali danno alla marca: ben il 40% non la fa, mentre il 43% si basa sulle analisi di terze parti. Costi più contenuti e la correlazione della campagna al comportamento d’acquisto potrebbero incentivarne l’uso, insieme alle suddette rilevazioni cross-media.

Il possibile impatto della deprecazione dei cookie di terza parte sulle strategie per la gestione della pubblicità data driven è un altro focus dello studio. Tra le aziende intervistate, solo il 12% ha già adottato una o più soluzioni cookieless, il 24% ha individuato una o più soluzioni che sta testando, mentre il 26% ha avviato la ricerca ma non ha ancora trovato soluzioni alternative.

 

 

Le discontinuità di misurazione digitali si inseriscono in una richiesta più generale da parte degli investitori pubblicitari di misurazioni più solide per giustificare il ritorno dei budget di comunicazione. Le aziende del campione dichiarano che investiranno di più in futuro per la misurazione delle variabili legate al brand e che hanno bisogno di currency crossmediali, soprattutto per leggere trasversalmente i risultati degli investimenti in TV e digital.

Il brand purpose, tendenza in crescita per la costruzione del valore della marca

La ricerca di UPA e Politecnico di Milano rileva che per le aziende brand purpose e brand activism stanno assumendo un ruolo importante nella narrativa della marca e assorbono budget crescenti nella comunicazione paid media che veicola questi messaggi.

Vero è che il 2023 è un anno costellato di “grandissimi punti interrogativi sugli investimenti” in termini assoluti e sul brand building in particolare, ha ricordato Alberto Vivaldelli, sottolineando però che il 43% delle aziende ha incrementato gli investimenti in questo ambito negli ultimi 2 anni. Da qui a 5 anni, poi, 1/3 del campione dice che investirà di più a sostegno delle attività di brand purpose che, a oggi, sono rilevanti e molto rilevanti per il 26% del campione.

Anche in questo ambito il tema caldo rimane la misurazione dei risultati, che il 58% del campione attiva attraverso metriche di brand building, il 42% usando metriche quantitative legate all’erogazione di una campagna, il 40% metriche di engagement, il 12% attraverso il calcolo del ROI in termini di conversioni incrementali e solo il 15% non misura del tutto.

L’attenzione per i valori trasmessi dalle marche si riverbera sul contesto editoriale in cui si pianificano i messaggi: il 66% dei rispondenti considera la coerenza del contesto editoriale fondamentale per l’efficacia delle iniziative di marketing e comunicazione e su questo basa la scelta dei contesti su cui investire.

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Branding e-volution: la tv è il top per la costruzione della marca. Influencer, branded content e CTV le ‘rising star’ ultima modifica: 2022-09-29T10:21:18+02:00 da Redazione

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