La mancanza di misurazioni viene spesso indicata tra le principali ragioni che trattengono le brand dall’investire di più nei podcast.
Storicamente, l’ascolto dei podcast è stato dominato – almeno in Usa, dove detiene il 60% del mercato – da Apple che non forniva alcun dato su quante persone avessero ascoltato un annuncio pubblicitario dopo aver scaricato un episodio tramite il suo player, ma l’avanzare di piattaforme come Spotify rende teoricamente sempre più facile la misurazione dell’ascolto in tempo reale su una porzione più ampia dell’inventory.
Così, mentre Apple – che ancora non permette lo streaming – ha iniziato a condividere le analisi sull’ascolto con gli editori, i produttori indipendenti guardano alle potenzialità delle misurazioni in tempo reale e Spotify detta la linea.
La piattaforma ha presentato al CES 2020 lo Streaming Ad Insertion che permette di distribuire programmaticamente gli annunci e di misurarli in tempo reale, mentre Nielsen ha lanciato (in Usa) a metà 2019 The Podcast Listner Buying Power Service basato su una survey su 35mila ascoltatori di podcast e a fine dello scorso anno (in Uk) un sistema per valutare l’efficacia dell’adv nei podcast: entrambi piacciono molto a network e piattaforme più piccole ed è utilizzato, tra gli altri, da IPG Mediabrands.
La sfida rimane la misurazione multi-piattaforma e per ora analisti e inserzionisti dovranno accontentarsi di mettere insieme i dati di più operatori e, secondo Adexchanger, ciò continuerà a favorire grandi player e walled garden che hanno più risorse per promuovere i loro prodotti, a scapito dei produttori indipendenti che non hanno una forza vendita adeguata.
Secondo IAB Usa quest’anno gli investimenti pubblicitari nei podcast dovrebbero avvicinarsi a quota 1 miliardo di dollari e sempre più podcast vengono pianificati nel contesto di media mix annuali e non più residuali o all’ultimo momento.