Secondo Giovanni Porro, direttore creativo di Havas Milano e giurato ai Film Lions, in Italia questo manca e il ricambio generazionale nelle agenzie, reso più traumatico dalla crisi, non ha aiutato
Cannes 2019 per l’Italia si riduce a 13 premi firmati da un’unica agenzia. Un segnale non positivo per lo stato di salute della creatività italiana e che denuncia alcuni problemi per il settore della comunicazione.
Ne abbiamo parlato con Giovanni Porro, executive creative director Havas Milano, giurato ai CannesLions nella sezione Film. “Sappiamo come il mercato italiano sia in crisi e come si rischi di meno. La maggior parte delle aziende nel nostro Paese pensa a vincere soprattutto la sfida delle vendite ed è meno orientata a costruire un dialogo nuovo con i consumatori. Ormai è chiaro che il pubblico giovane chiede di più alla pubblicità. Non si accetta che tutti i soldi investiti dalle aziende siano finalizzati solo alla vendita. Non si accetta più che un prodotto faccia solo bene il proprio mestiere: deve essere etico, attento al contesto sociale e mostrare un atteggiamento di responsabilità verso la comunità. Le aziende e i prodotti hanno un impatto tale che deve esserci un riscattato, una ricaduta positiva. I più giovani, il consumatore del presente e del futuro, sono preoccupati del mondo che gli stiamo lasciando. La marca deve esser compatibile con i loro sogni e obiettivi. Una ricerca presentata in questi giorni da Yannick Bollorè, chairman & ceo di Havas Group e chairman di Vivendi, ha evidenziato come la Generazione Z non prenderà in considerazione prodotti non compatibili con il loro mondo. Se sparissero il 70% dei brand oggi, cambierebbe poco… Le aziende che erano poco sensibili su questi temi, adesso lo devono diventare per forza. Prima il brand sfondava la porta nelle case con la politica dei grp, ora sono i consumatori che lo invitano ma solo se è compatibile con i loro principi e con l’ambiente. Dove il concetto di ambiente è ampio, comprende sostenibilità sociale, rispetto ambientale, inclusività di genere e di razze: è ambiente di vita. Precisato questo, per rendersi interessanti e complici i brand devono uscire allo scoperto e dichiarare la propria visione del mondo. Occorre saper rischiare. Ma le marche in Italia hanno per lo più un atteggiamento conservativo, non osano”.
A penalizzare i lavori c’è anche l’aspetto produttivo.
“Una buona idea creativa deve essere accompagnata da una esecuzione all’altezza. A Cannes se non hai un craft outstanding non entri neanche in shortlist. Ma al di là dei premi, la cosa grave è che l’intero mercato, agenzie e clienti, si sta abituando a un livello medio basso”.
Il successo di Publicis come si inquadra?
“La macchina Publicis funziona bene, la combinata agenzia e cliente funziona. C’è un rapporto di lunga durata e ci sono obiettivi di qualità condivisi. Anche la strategia di approccio a Cannes è condivisa”.
In questi anni però in molte agenzie si è assistito a un’uscita di direttori creativi esecutivi forse anomala.
“La crisi ha sicuramente generato un ricambio generazionale più traumatico del dovuto. Il settore perderà sicuramente molto perché al di là dei singoli, ogni professione necessita di una scuola, di un passaggio di conoscenza tra generazioni. Le ricadute di questa perdita sono ampie”.