Appello agli inserzionisti: “continuiamo a parlare di brand safety, viewability e certificazione. E allora perché continuate a investire sugli OTT che non le garantiscono?”
Vuole offrire agli editori un parametro valido per valorizzare la propria offerta e agli investitori un criterio di scelta oggettivo per accertare che i propri investimenti vengano associati a contesti di elevata qualità.
Questi gli obiettivi dello IAB Quality Index, nuovo strumento messo a punto insieme a Comscore, Integral AdScience e Meetrics, volto a dare un crisma di oggettività a ‘mai più senza’ come viewability, brand safety e certificazione.
«Gli OTT, il 75% del mercato, non riescono a garantire nessuna di queste cose e nonostante ciò gli inserzionisti continuano a pianificare queste piattaforme» ha detto Aldo Agostinelli, vice presidente di IAB Italia e noto per le sue tirate verso Google e Facebook.
«Parafrasando Marc Pritchard di P&G, in giro c’è più crap, merda, che craft, pubblicità fatta come si deve – ha detto Agostinelli -. Insieme a quelle tre aziende, scelte tramite beauty contest, con il supporto di EY per la definizione dei 5 KPI (brand safety, viewability, invalid traffic, ad clutter, principi Lean) abbiamo messo a punto un metodo per ottenere risultati omogenei tra le varie parti. Applicandola i publisher potranno ottenere un marchio di certificazione, ma perché tutto ciò abbia un senso siete voi inserzionisti a dover pretendere da quel 75% del mercato di certificare l’investimento con questo metodo».
Tutto questo mentre sul palco una sedia vuota indica la latitanza delle istituzioni (ma anche in parte dei centri media, editori e associazioni) nella campagna per un digitale più equo e la richiesta di una nuova Web Tax: “Agli OTT sono attribuiti 53 miliardi di imponibile non pagato: nel mentre si continuano a dar soldi a chi non paga le tasse e non si vuole far certificare”.