… invece di guardare l’ultimo virale, perchè alla fine funzionano sempre le idee basate sulle verità umane. Così spiega David Sable, Global CEO di Y&R che al Festival di Cannes sarà presidente della giuria Creative Effectiveness
Alla scorsa edizione del Festival è emerso tra i principali trend quello identificato come ‘social good’. Moda o punto di non ritorno?
Nella nostra corsa quotidiana alla ricerca di novità abbiamo perso di vista il fatto che esistono da sempre tante aziende che ritengono importante restituire alla società ciò che dalla società hanno avuto: Avon è sempre stata attiva in questo campo, così come Colgate-Palmolive. Probabilmente, l’esempio più noto è quello di McDonald’s con le sue ‘Case Ronald McDonald’. La loro connessione a cause sociale sottolinea nella percezione del pubblico chi sono queste aziende. In realtà, fino a non molto tempo fa essere un’azienda con un forte senso della propria responsabilità sociale era un argomento di differenziazione.
Quello che oggi stiamo misurando con il nostro BrandAsset® Valuator è un cambio di paradigma. I consumatori non considerano più la responsabilità sociale di una marca come qualcosa di unico, se l’aspettano. È una cosa dovuta, soprattutto per la generazione dei Millennial. Essere socialmente responsabili può far crescere il rispetto per una marca, ma ormai non rappresenta più una differenziazione irresistibile.
Di recente abbiamo realizzato una campagna per Colgate in Perù, dove l’acqua è una risorsa estremamente scarsa e ciò implica malattie e disidratazione, soprattutto per i più poveri. Perciò abbiamo creato una campagna per il World Water Day per ricordare alle persone quanta acqua sprecano ogni giorno semplicemente non chiudendo il rubinetto quando si lavano i denti. È un’idea coerente con il brand Colgate e un’idea semplice e potente al tempo stesso.
Le tecnologie digitali sono pervasive, a volte anche troppo. Come dovrebbe muoversi una marca che voglia utilizzare tecnologie innovative e raccogliere dati utili senza essere percepita come una minaccia per la privacy o intrusiva?
Come Marshall McLuhan ha messo in evidenza tanto tempo fa, il medium è il messaggio. Perciò, la tecnologia è tecnologia. E io credo che spesso, quando è utilizzata in modo pretestuoso, diventa fuori luogo e intrusiva. D’altra parte, il lavoro (creativo) migliore è quello che raggiunge l’equilibrio tra creatività e innovazione. La creatività racconta la storia, l’innovazione la trasporta sui canali giusti. Lavori che non hanno creatività sono noiosi. E quelli senza innovazione sono inefficaci. Quando trovi il giusto equilibrio, la tecnologia potenzia le idee. Inoltre, credo che molti marketer abbiano perso di vista qualcosa che io ripeto sempre: il digital è dappertutto, ma non tutto è digital. In altre parole, la gente vive sia nel mondo virtuale sia in quello fisico.
I marketer più brillanti sapranno trovare il modo per unire entrambi senza soluzione di continuità, e quando ci riusciranno saranno anche in grado di creare un valore esponenziale per i consumatori.
Cosa vogliono le persone oggi dalla pubblicità? Come cerchi di assimilare il concetto di user experience nel tuo lavoro e nella relazione tra la marca e il suo pubblico?
Credo che, in un modo o in un altro, la gente chieda all’advertising sempre le stesse cose: essere informati e impegnati, chiedono intrattenimento e onestà. In altre parole, vogliono una relazione che vada oltre la transazione del mero acquisto. E le marche in grado di fornire un’esperienza completamente ingaggiante, online e offline, avranno successo. In verità, raggiungere i consumatori oggi è sempre più duro.
Eravamo soliti lamentarci dell’affollamento già molto tempo prima che il web si schiudesse. Abbiamo anche visto che il potere è passato di mano, dal venditore al consumatore. E poi il livellamento del terreno di gioco è tale che anche le piccole marche possono competere con quelle globali.
È uno scenario complicato, ma anche ricco di opportunità per raggiungere i consumatori nel momento opportuno. Per questo, per esempio, oggi diventa essenziale capire il consumatore nei suoi comportamenti d’acquisto e più che mai la relazione tra consumatori e le loro abitudini mediali.
Alla fine, però, ciò che conta realmente nel nostro mestiere è la nostra creatività, la nostra abilità nel raccontare storie che connettono emozionalmente marche e consumatori. Per questo consiglio sempre di leggere l’Iliade e l’Odissea, o la Bibbia, o Shakespeare, o Dante invece di guardare l’ultimo video virale. I grandi lavori scaturiscono dalle verità umane.
Cannes Lions ha lanciato la nuova categoria dedicata al Product Design, sulla scia del trend della ‘prodottizzazione del marketing’ e dell’influenza della cultura del design nel marketing e nella comunicazione. Cosa ne pensi?
Ho cominciato ad appassionarmi al Product Design circa 40 anni fa, lavorando con Castelli mentre iniziavano a porsi il problema di come adattare i mobili per ufficio per accogliere i primi computer. L’integrazione del product design può cambiare il modo in cui un prodotto è venduto. Ora c’è un grande ritorno all’interesse nei confronti del design per il modo in cui può aiutarci a creare esperienze digitali in grado di unire mondi virtuali e fisici.
Un’arena davvero interessante, secondo me, soprattutto per il fatto che tutte queste invenzioni e innovazioni non riguardano semplicemente una migliore user experience, ma una vita migliore. Noi abbiamo una società a Berlino che sta realizzando un fantastico product design, soprattutto per il mobile.
Per esempio, per Kettler Fit (competitor di Technogym, ndr) hanno realizzato un’app che permette agli utilizzatori di inserire i dati relativi a ciò che hanno mangiato e di ricevere in tempo reale le informazioni sulle calorie bruciate facendo esercizio fisico.
Hanno anche realizzato un sistema integrato nelle automobili che usa il GPS per creare dei video game per i ragazzi che viaggiano nei sedili posteriori. O uno spazzolino da denti che permette ai genitori di controllare quanto sia corretto l’uso da parte dei bambini e avvisa quando è necessaria una supervisione. In tutti questi casi, il design permette un’esperienza del prodotto più personale e rilevante.
Ci suggeriresti un’idea per promuovere Expo 2015 e Milano a turisti e investitori da tutto il mondo?
Felice di essere consultato! Prometto di esserci: amo Milano.