Ieri PHD, l’agenzia media parte di Omnicom Media Group, ha presentato il nuovo managing director Piergiorgio Manuti e una ricerca che indaga la percezione e il gradimento del retail media da parte dei consumatori

Il retail media è uno dei temi chiave del momento, ma nessuno aveva ancora pensato di chiedere ai cittadini cosa ne pensano.
L’ha fatto PHD Italia con la ricerca “Retailored Media – l’evoluzione dell’esperienza di acquisto e del rapporto brand–consumatore”, anticipata ieri alla stampa a Milano, che verrà presentata in modo più completo il 27 maggio durante l’evento dedicato a clienti e prospect “Brand e consumatori: dalla transazione alla relazione” organizzato a Verona, luogo scelto appositamente “per essere protagonisti nel nord est e sviluppare relazioni con i nostri clienti, tra cui Volkswagen e Bauli, e le aziende italiane per capire meglio, e senza filtri, i loro bisogni” ha detto Marco Girelli, Ceo di Omnicom Media Group (OMG).
Un incontro funzionale anche ad avviare il nuovo corso di PHD sotto la nuova direzione di Piergiorgio Manuti, neo Managing Director dell’agenzia in carica dall’inizio di maggio. «Puntiamo a crescere non solo nelle dimensioni del business, ma anche come percepito, facendo leva sul nostro imprinting strategico e sulla coesione dei nostri team, amplificati dalle capability tecnologiche del gruppo – ha spiegato Manuti -. PHD conta oggi circa 200 persone e l’ambizione è quella di portare in agenzia figure trasversali, che arricchiscano di valore aggiunto la relazione con i clienti».
Prospettiva inedita. La ricerca ha analizzato la percezione e il gradimento del retail media da parte dei consumatori attraverso una nuova metodologia. Oltre a un sondaggio quantitativo su 1.000 casi effettuato con un questionario online, è stata condotta insieme a Bilendi una parte qualitativa con 200 interviste qualitative moderate dall’intelligenza artificiale, così da fotografare, per la prima volta, percezioni, comportamenti, emozioni e timori lungo tutto il customer journey.
«Attraverso una chat, l’AI ha interagito con le persone chiedendo loro di approfondire le risposte, fornire esempi e descrivere le loro esperienze. In questo modo abbiamo potuto realizzare un’indagine qualitativa su un campione di 200 casi in appena una settimana, ottenendo dati statisticamente rilevanti. Con i tradizionali focus group non sarebbe bastato un mese e il costo sarebbe stato esorbitante» ha spiegato Daniela Della Riva, Chief Strategy Officer di PHD.

L’esperienza di anni di shopping online, praticato da metà del campione almeno una volta a settimana, ha reso i consumatori estremamente evoluti e consapevoli del funzionamento degli algoritmi e delle comunicazioni che ricevono. I consigli per gli acquisti promossi e sponsorizzati sulle piattaforme basati sui propri acquisti precedenti sono ritenuti “utili” dal 60% dei consumatori e il 14% si dice addirittura entusiasta. Anche i dati ceduti ai retailer attraverso le carte fedeltà contribuiscono a migliorare l’esperienza complessiva, dice il 73,8%, favorendo la crescita di una relazione.
La personalizzazione non viene più guardata con sospetto come qualche anno fa: le persone sanno come funziona e ne apprezzano la praticità e la puntualità con cui suggerisce prodotti e contenuti (Spotify è stato indicato come esempio ‘virtuoso’ per come suggerisce musica gradita agli utenti, ma anche Amazon spicca quanto a utilità dei suggerimenti pur con finalità commerciali). Il 26,6% ha scoperto più volte nuovi prodotti grazie a suggerimenti data-driven e un consumatore su tre clicca “quasi sempre” sui prodotti consigliati.
Nei confronti dei brand le persone hanno dichiarato di sentirsi “più comprese” (62,6%) nei propri bisogni e preferenze attraverso la personalizzazione dei messaggi.
Ma questa fiducia non è senza limiti: solo il 53% sarebbe disposto a condividere dati in cambio di vantaggi concreti e il 65% ha aumentato negli anni la sensibilità sul tema. Confrontando questi nuovi dati con una ricerca condotta da PHD nel 2018, emerge che si sono ristrette le maglie della condivisione dei dati relativi agli ambiti più privati (sui dati di mobilità l’indice cala da 102 a 67; su quelli medico-sanitari da 114 a 57; sulle informazioni finanziarie da 51 a 33). “Personalizzare non basta più: i consumatori pretendono esperienze rilevanti, trasparenti e rispettose della loro privacy” dice la Cso.
La relazione tra consumatori e brand, nonostante tutti gli aspetti positivi di cui sopra, non può dunque passare solo dal dato, dalla precisione e dall’aspetto transazionale e utilitaristico. «Il dato da solo non basta a costruire una relazione che punti a durare nel lungo periodo, con un dialogo reale tra brand e consumatore – conclude Della Riva -. Deve essere scaldato dalla creatività, che trasmette l’umanità del brand ed è l’unica risorsa in grado di emozionare le persone».
Oltre a questa connessione tra dato e creatività, un altro insight per i brand è il gradimento verso tutti i formati in prossimità dei punti vendita (ooh, radio e video in store, volantini sia fisici che digitali, coupon) oltre ai social, che segneranno la prossima grande rivoluzione del commercio.
Non solo: attraverso i dati di questo studio PHD punta a dare al ‘retail media’, oggi usato per lo più in modo tattico, la dignità di canale media a tutti gli effetti, da inserire in un media mix in modo strategico e con precisi obiettivi di business. «Il nostro ruolo è interconnettere le componenti di un mondo così frammentato come quello del retail media in modo strategico” ha detto Girelli, nonostante la ritrosia dei retailer a operare in modo più coordinato e collaborativo.
F.B.