Valentino Cagnetta, vice presidente Gruppo Armando Testa e a.d. di Media Italia, con Andrea Marcolin e Valerio Tutore, rispettivamente chief digital officer e direttore generale dell’agenzia media, hanno raccontato a Brand News come machine learning e intelligenza artificiale possono diventare uno strumento per fare la differenza in una industry spinta sempre di più da logiche puramente finanziarie
Valentino Cagnetta, vice presidente Gruppo Armando Testa e a.d. di Media Italia, con Andrea Marcolin e Valerio Tutore, rispettivamente chief digital officer e direttore generale di Media Italia, hanno raccontato a Brand News le strategie di sviluppo delle suite di strumenti basati su AI e Machine Learning e il vantaggio competitivo che deriva dall’investire in totale autonomia, distinguendosi e differenziandosi dai grandi network internazionali e dalle loro logiche finanziarie.
Audience smart. Investire autonomamente su sistemi di machine learning, e non su input di un network internazionale: Media Italia ha iniziato a farlo durante la pandemia, sia perché c’era un po’ più di tempo a disposizione poiché non c’era la possibilità di andare a parlare con i clienti, sia sulla scorta dell’interesse di lunga data per i sistemi neuronali del chief digital officer dell’agenzia media che fa capo al Gruppo Armando Testa.
Il punto di partenza è stato riflettere su come automatizzare e rendere ‘smart’ il sistema di stime delle audience TV, una complessità costituita da 2.300 break a settimana, tutti con caratteristiche specifiche. Il primo risultato è stato risparmiare tante ore di lavoro e avere una maggiore precisione riattualizzando gli ascolti dei break ogni settimana per ottenere audience sempre dinamiche.
Non soddisfatto, il team ha sviluppato un sistema di planning online che incrocia le indicazioni di brief, non per appaltare il lavoro all’IA, ma per utilizzarla come punto di riferimento.
Asimmetria digitale. “Dal nostro punto di vista IA ha a che fare soprattutto con l’automazione di processi di targetizzazione già esistenti: a differenza della creatività, dove l’IA è diventata evidente in questi ultimi due anni, nel mondo dei media è meno rilevabile, ma altrettanto potente”, spiega il d.g. Valerio Tutore.
Non solo: per i grandi player del digital, da Alphabet ad Amazon a Meta, gli strumenti di machine learning sono una consuetudine da almeno 10 anni, necessari per far funzionare le campagne digitali.
Quindi, l’adozione dell’IA è anche un modo per cercare di ridurre – almeno un po’ – una asimmetria oltre che lavorare meglio sulla iper-frammentazione dei target. “L’IA è un veicolo magnifico per ottimizzare le campagne digital da un punto di vista di targeting o veicolare la comunicazione più corretta a un certo gruppo di consumatori o ancora di scovarne altri che potrebbero diventarlo”, aggiunge il chief digital officer Andrea Marcolin. “È un processo di apprendimento costante”.
Vantaggio competitivo. Se l’applicazione del machine learning ha trasformato la pianificazione dei media nativamente digitali – un po’ meno quella della TV italiana, dove le concessionarie non si sono ancora allineate -, il vantaggio competitivo rispetto ai grandi network della comunicazione è, per Media Italia, distinguersi e differenziarsi.
“Il nostro vantaggio è poter investire dove è più necessario per noi e il nostro mercato, in funzione di un’esigenza specifica”, afferma Valentino Cagnetta, “guardando a come potrebbe essere il mercato tra un paio d’anni. Le altre agenzie media non possono farlo: la dimensione schiaccia tutto”.
Dunque, l’applicazione dell’IA in Media Italia sta trasformando non tanto il media planning, quanto riducendo il rischio dell’omologazione? “Il problema è proprio quello dell’omologazione”, risponde Cagnetta. “Mi spezza il cuore questa logica finanziaria proprio in uno dei pochi settori in cui l’intelligenza umana è ancora rilevante, anche in termini di personalizzazione del rapporto, di stabilità dei team, di creazione di strategie su misura, di rapporto diretto tra i vertici dell’agenzia media e dell’azienda cliente”.
E con i merger annunciati al ritmo di uno al mese, sostiene Cagnetta, si sta accelerando ulteriormente il processo di omologazione. “Martin Sorrell ha detto al Financial Times che alla fine resteranno solo tre o quattro immensi network: per me questo significa l’annullamento di principi importanti della nostra industria, dalle persone al brand. Io, invece, credo che vinca chi è capace di differenziarsi e fare la differenza grazie alla qualità, alla creatività e alla capacità di fare gli interessi dei clienti”.
Vantaggi locali. Essere differenti in un sistema che si sta omologando, aggiunge Tutore, porta anche il vantaggio di intercettare player locali che possono dare valore aggiunto per i clienti dell’agenzia media, e trovare nuovi clienti per i quali costruire strategie media su misura del prodotto e del mercato. Non per niente, molti degli strumenti sviluppati internamente sono a disposizione dei clienti di Media Italia, che possono verificare in tempo reale tutti i dati del mercato e delle proprie campagne, e possono essere acquistati a ‘gettone’ anche da aziende che non sono clienti dell’agenzia media e da editori e concessionarie.
Risorse liberate. Quanto all’impatto sulla maggiore automazione nella gestione dei dati, il risparmio economico dall’ottimizzazione delle campagne resta un segreto ben custodito, mentre la generazione di insight, spiega Marcolin, produce nuova conoscenza dei target e applicazioni che permettono di scovare con l’IA audience potenziali.
E per quanto riguarda l’occupazione e le professionalità, Cagnetta dice che il saldo è neutro, perché l’IA genera nuove professionalità visto che il lavoro deve esser sempre validato da una regia umana. Come per i treni delle nuove linee del metro di Milano, senza conducente lungo i tunnel sotterranei, cui ci si affida perché tranquillamente consapevoli che da qualche parte c’è una sala di controllo.
Armida Cuzzocrea