Nel suo ultimo Cannes Lions da Ceo di Accenture Song – diventerà vp di Accenture a settembre – David Droga ha ripercorso i momenti chiave della sua carriera e i relativi insegnamenti per una creatività senza le barriere della pubblicità
Il più grande creativo degli ultimi 20 anni, il più premiato, il più giovane ad avere ricevuto il Leone di San Marco alla carriera, quello che ha firmato campagne pazzesche per Marc Ecko, New York Times, Tourism Australia, Tap Project per Unicef, a 18 anni non avrebbe mai pensato di essere pagato per usare la sua immaginazione.
Al di là della (falsa) modestia, di rito in un’occasione così istituzionale come l’ultimo speech da Ceo di Accenture Song – da settembre sarà vice presidente di Accenture -, la grandezza di David Droga si vede anche dall’ampiezza della sua prospettiva, dal desiderio di non lavorare per progetti “usa e getta” e superare i limiti della pubblicità per spingersi sempre in nuovi campi.
Infatti Droga non si riconosce nella definizione di creativo in senso stretto: «Non ho mai voluto essere un pubblicitario. Volevo solo essere qualcuno che usava la sua immaginazione per trovare una soluzione a dei problemi. Le barriere della pubblicità mi infastidivano, quindi cercavo sempre di romperle e testare i suoi limiti» ha detto dal palco dei Cannes Lions, ripercorrendo le tappe principali dell’agenzia che porta il suo nome, conservato anche dopo l’acquisizione da parte di Accenture nel 2021.
Come Ceo di Accenture Song, Droga ha fatto crescere il business da 12.5 miliardi di $ a 19 miliardi.
Still Free. Nel 2006 la campagna che ha sparato Droga5 in orbita è stata quella per lo street artist Marc Ecko, con l’hackeraggio di un finto Air Force One rilanciato tra le breaking news grazie a un video virale su YouTube, all’epoca ancora agli esordi. Un progetto che tra l’altro ha dato origine alla consuetudine di spiegare le campagne con video case study (“potete odiarmi perché ho creato la corsa agli armamenti dei case study di cui tutti sono ossessionati”), anche se non era quello lo scopo. «Essere creativo non significa solo cercare di dimostrare quanto sei creativo. Significa anche crederci abbastanza da non sapere come farai a realizzare la tua idea. Ma se pensi che un’idea sia la cosa giusta, per il pubblico giusto, nel momento e contesto giusti, trovare come farlo è la parte facile».
È anche una questione di come leggere un brief: «Se parti dalla fine, dalla reazione finale che vuoi ottenere, hai più opportunità di capire che cosa creare. La partecipazione delle persone alla tua idea fa parte dell’idea».
Proseguendo nella carrellata, il Tap Project per Unicef ha cambiato il modo in cui le persone guardano alla beneficenza e alla filantropia; il progetto per Microsoft Bing con Jay Z, con la autobiografia dell’artista pubblicata su Bing, da leggere cercando le pagine come in una caccia al tesoro; la campagna di brand del New York Times in cui l’agenzia non ha inventato nulla, ha solo raccontato con il suo stile e con un film pubblicitario le storie incredibili dall’archivio della testata.
E poi le campagne per il Super Bowl per Coinbase (“definita insieme come la migliore e la peggiore campagna di quell’edizione, ma che ha fatto scannerizzare a 20 milioni persone digitalmente evolute un QR code in tv”) e per Bud Light, con un crossover con HBO e Game of Thrones, con tanto di uccisione del cavaliere simbolo della marca (collaborando anche con i ‘frenemies di W+K’), passando a quelle per Tourism Australia e l’arcipelago di Tuvalu.
Non rifare le stesse cose. Droga ha sottolineato più volte il fatto che in genere come creativi, dopo un successo, si è tentati di ripetere la formula rimanendo intrappolati. «Questo non mi ha mai interessato. Non ho mai avuto paura di provare qualcosa di nuovo e ciò significa partnership, come quella con William Morris Endeavor e poi con Accenture. Le persone del settore pensavano che fosse la morte della creatività. Ma per me è un’espansione della creatività». E ancora: «Bisogna espandere la definizione di cosa sia la creatività e di cosa ci possa fare con essa. Come creativi, saremo noi le persone che salveranno la nostra industria, siamo noi quelli che romperanno il modello di business. Siamo noi quelli che in qualche modo estenderanno le cose e insieme le preserveranno. Saranno l’ambizione, l’audacia e la purezza e la cura che ci mettiamo».
Fare cose più grandi. La vendita ad Accenture va nella direzione di continuare a far cose grandi e diverse, costruire sistemi “e la loro scala non ha eguali”. «Voglio essere in grado di costruire cose che non potresti mai fare. Voglio creare sistemi con lo stesso spirito di audacia, gusto, attenzione spaziando continuamente. So che tutti qui sono probabilmente nervosi per la sensazione di onnipresenza dell’intelligenza artificiale e per cosa farà, e non c’è dubbio che cambierà molte cose. Ma non possiamo stare a guardare, dovete abbracciarla. Perché siamo noi le persone che le daranno significato, contesto e opportunità e faranno cose incredibili con essa».
Ai figli che hanno intrapreso percorsi creativi spiega che devono concentrarsi sulle storie, che non importa a nessuno degli strumenti che si utilizzano per raccontarle.
Il progetto non realizzato. Chiude l’intervista, a cura di Tim Nudd di AdAge, il progetto mai realizzato per GE alle Olimpiadi di Beijing: un edificio nel centro del Villaggio Olimpico pieno di tutte le tecnologie di GE e progettato da Philippe Stark, destinato a durare non 2 settimane ma 100 anni, “boccato dal Comitato Olimpico locale che non voleva facessimo qualcosa che oscurasse ciò che stavano facendo loro”.
Il progetto si è arenato ma ha stabilito un precedente: «Perché la pubblicità e il marketing non possono essere architettura, un centro eventi o una dimostrazione di prodotto tech o una collaborazione, o tutto questo insieme? Dipende da noi definire cosa facciamo con la nostra industria. Guardo avanti e penso: cosa farò che creerà nuovi precedenti e opportunità e creerà grandezza? Dovremmo farlo abbracciando e interpretando la tecnologia, mettendoci buon gusto e non rinunciando alla sobrietà e, soprattutto, alla cura».
F.B.