Motore di apprendimento, stimolo che alimenta l’intuizione creativa. Jay Stevens, General Manager International di Rubicon Project, spiega come l’automazione non sia una minaccia per la creatività, anzi
Quest’anno, più che mai, si è parlato di branding, automazione, creatività e del modo in cui questi tre fattori possono interagire nella pubblicità. Se è vero che l’idea stessa del branding si fonda essenzialmente sulle emozioni umane, vediamo anche come l’automazione non tolga affatto spazio alla creatività, dando invece ai marchi l’opportunità di agire e proporre, anziché semplicemente reagire.
In sintesi, l’automazione offre immediatezza e dati per alimentare ulteriormente le campagne di branding e, man mano che il settore matura, sembra crescere il consenso su tale aspetto. Ron Amram, Senior Media Director di Heineken USA, lo ha probabilmente spiegato nella maniera migliore ai Cannes Lions di quest’anno: “Il programmatic è un motore di apprendimento fantastico che ci permette di utilizzare i dati per capire che cosa funziona e poi mettere a frutto l’insegnamento che ne traiamo nel processo creativo”.
La maturazione del mercato
L’automazione è nata come strumento per permettere agli editori di commercializzare l’inventario invenduto, ma da allora si è evoluta in ben altro. Si è infatti evoluta ad incorporare progressivamente l’inventario premium, i marchi di lusso e i principali inserzionisti globali.
Poiché sempre più acquirenti e venditori stanno sposando il concetto dell’automazione della pubblicità digitale, il suo potenziale di catalizzatore creativo sta iniziando a realizzarsi pienamente, come conferma il nostro rapporto sullo “Stato del settore nel secondo trimestre 2015” secondo il quale l’86% degli acquirenti ha affermato di prevedere, nei prossimi 1-2 anni, una crescita della spesa di branding tramite mezzi programmatici.
Arte e scienza
La rivoluzione scatenata dall’automazione nel campo della pubblicità inizialmente ha incontrato una certa opposizione, e questo scetticismo ancora oggi, in parte, perdura. Nell’opinione prevalente nel settore, l’automazione è semplicemente uno strumento, un mezzo per ottenere risultati migliori nelle campagne di branding e performance.
È diventato chiaro che gli inserzionisti hanno cominciato a modificare conseguentemente le proprie abitudini: ad esempio, un rapporto Celtra indica che il 74% dei marketer già utilizza il display advertising per costruire la consapevolezza del marchio, percentuale che la dice lunga anche sulla portata di innovazioni dei rich media come HTML5, pubblicità native e video.
Ambiente pubblicitario in costante evoluzione
Alcuni marchi hanno accolto l’automazione a braccia aperte, considerandola un’altra arma del loro arsenale creativo, non una minaccia. Pensiamo a Domino’s, che si è trasformata da marchio di fast food in società tecnologica a tutti gli effetti, adattandosi con successo, strada facendo, al mutato scenario della pubblicità. Alla fine del 2014, Domino’s ha ottenuto il 50% delle vendite attraverso il digitale e la quotazione delle sue azioni è aumentata del 1200% da quando l’agenzia CP+B ha lanciato la campagna di trasformazione.
Interessante è l’affermazione di Ivan Perez-Armandariz, Chief Digital Officer dell’agenzia, al festival Lions Innovation di quest’anno, secondo il quale, per creare un ambiente di innovazione, è fondamentale “l’integrazione, abbattendo il muro tra operatori della pubblicità ed esperti di tecnologia”. Anziché considerare il programmatic come una minaccia, una dimostrazione di come sfruttando i dati per alimentare l’intuizione creativa, branding e tecnologia possono non solo coesistere, ma anche proiettare i confini della pubblicità in un regno completamente nuovo.
di Jay Stevens, General Manager International, Rubicon Project