In UK sempre più aziende che investono in pubblicità hanno approfondito le indagini dopo lo scandalo scoperto dal Times e hanno tolto i propri annunci da YouTube e dalle piattaforme di Google
Non poteva fermarsi alle dichiarazioni di rito lo scandalo scoperchiato dal Times in Uk non più di un mese fa: la testata aveva pubblicato un’inchiesta nella quale di dimostrava che la pubblicità di noti brand pianificata attraverso tecniche digitali e programmatiche andava ad arricchire terroristi, gruppi razzisti e neonazisti o siti porno.
Dopo Jaguar Land Rover, la prima azienda a reagire all’indomani della scoperta, la stampa britannica riporta che anche aziende come il Guardian, L’Oréal, Channel 4, TfL, FCA, HSBC, Lloyds e RBS hanno approfondito le indagini ed eliminato di conseguenza ogni loro uscita pubblicitaria dalle piattaforme di Google, a tutela del proprio brand, e anche Havas UK lo sta facendo per conto di tutti i propri clienti (aggiornamento: il CEO del gruppo Yannik Bolloré ha voluto precisare che l’iniziativa non rappresenta la posizione di tutto il gruppo).
Questo fino a venerdì, ma di ora in ora continuano ad aumentare i dietro front da parte di aziende di primo piano (aggiornamento 20/3: alla lista si sono aggiunte Vodafone, Sky, Marks & Spencer).
Dan Brooke, chief marketing and communications officer di Channel 4, ha spiegato a Campaign “di essere molto preoccupato che la propria pubblicità appaia accanto a contenuti offensivi, in diretta contraddizione con le rassicurazioni che la nostra agenzia media ha ricevuto da YouTube” e di aver rimosso tutte le campagne con effetto immediato».
Il caso del Guardian è spiegato nei minimi dettagli in un articolo pubblicato giovedì scorso dal quotidiano stesso: Il Guardian ha dichiarato di aver tolto la pubblicità pianificata usando la piattaforma ad exchange di Google AdX dopo essersi reso conto che i messaggi erano finiti dentro i video di nazionalisti bianchi americani e di un controverso predicatore islamista.
David Pemsel, chief executive del Guardian, ha scritto una lettera a Matt Brittin, presidente di Google in Europa, denunciando il fatto e spiegando, sottolineando l’aspetto paradossale della vicenda, che questa pianificazione aveva proprio l’obiettivo di allargare quelle membership e abbonamenti che permettono alla testata di diversificare i ricavi in un contesto dominato dai gruppi tecnologici che incamerano la maggior parte dei budget pubblicitari.
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«La decisione di mettere YouTube in blacklist avrà conseguenze finanziarie in termini di reclutamento di abbonati che finanziano il nostro giornalismo. Data la posizione dominante di Google, DoubleClick e YouTube nell’economia digitale, molti brand pensano sia essenziale pianificare queste piattaforme. E’ dunque vitale che Google, DoubleClick e YouTube si aggiornino ai più alti standard di apertura, trasparenza e misurazioni nell’ordine di evitare frodi pubblicitarie e placement sbagliati in futuro. Ma è molto chiaro che questa non sia la situazione, al momento». Pemsel ha quindi invitato altri brand a mettere in blacklist le piattaforme di Google finché non verranno offerte reali garanzie.
Giusto la settimana scorsa l’agenzia The & Partnership ha pubblicato uno studio che indicava come il valore delle frodi pubblicitarie sia molto più alto di quanto rilevato in passato e che quest’anno rischia di toccare i 16,4 miliardi di dollari: Johnny Hornby, fondatore di The & Partnership, ha colto l’occasione di commentare la notizia dicendo che bisogna passare all’attacco velocemente, aprendo innanzitutto le piattaforme al controllo vero di terze parti, creare e rafforzare linee guida e regole per la categorizzazione dei contenuti e soprattutto togliere i budget a chi non è capace di garantire la sicurezza del brand agli investitori.
Una risposta da parte di Google era il minimo che ci si potesse attendere: venerdì Ronan Harris, managing director di Google UK, ha spiegato come con l’immane quantità di contenuti presente sulle piattaforme non sia facile controllare tutto e, ascoltate le istanze di clienti e agenzie, che nelle prossime settimane verranno varati cambiamenti per permettere ai brand di avere più controllo sulle proprie campagne su YouTube e Google Display Network.