L’incontro organizzato da Zenith Italy e Politecnico di Milano, School of Management, ha evidenziato come la concezione classica di consumer journey abbia perso significato. Per agenzie e brand è ora di cambiare rimettendo al centro la relazione con l’individuo attraverso tecnologia, dati e contenuti
Ha ancora senso parlare di percorso d’acquisto? Si, per certi versi, se non no saremo qui a parlarne, si argomenta al convegno ‘The neverending journey. Percorsi di brand e consumatori’ organizzato da Zenith Italy e Politecnico di Milano, School of Management. Non certo però nella concezione classica, ormai obsoleta alla luce dell’estrema frammentazione, ma rimettendo al centro l’individuo e il potere della marca di creare relazioni.
IL CLIENTE VUOLE RISPOSTE. Secondo i dati esposti da Luca Cavalli, da poco nominato chief growth officer di Publicis Groupe, rispetto a 2 anni fa i touchpoint sono aumentati del 50% e il 79% dei marketing lead non registra conversioni. E’ un mondo piccolo perché è aumentata da competizione, non solo tra aziende dello stesso comparto ma anche con competitor sul fronte delle esperienze e con quelli che, da industry totalmente differenti, innalzano le aspettative delle persone.
«I percorsi sono molto più tortuosi, non si capisce più dove il consumatore entra ed esce dal percorso d’acquisto. Ed è perché ormai oggi esistono uno, nessuno, centomila percorsi d’acquisto, e dire centomila è uguale a zero, i brand sono chiamati a diventare punti di riferimento e a dare le riposte che chiede loro il cliente. Come agenzie e brand dobbiamo ripartire da zero ascoltando il consumatore e offrire un’esperienza nuova: ascoltare, essere rilevanti, rispondere nel momento giusto ma in modo non intrusivo. Tutto ciò ha un costo, ma è anche un’opportunità. E chi la gestisce bene ha doppia possibilità di successo».
CONTROLLO DELLE VENDITE. Jonathan Lewis-Jones, commerce practice lead di Publicis Media Emea, ha parlato di come i brand possono tornare in controllo delle proprie vendite nonostante il carrello lo tengano i retailer e di come la tecnologia metta a disposizione parecchie risorse. Jones ha esposto cinque aspetti: usare i dati per potenziare l’esperienza attraverso un uso intelligente di mappe digitali, una infinita gamma di touchpoint e una UX eccellente; rompere i silos organizzativi; estrarre il massimo valore dalle partnership commerciali pretendendo la stessa trasparenza, viewability, in target audience, tracciamento delle interazioni dell’utente, sales report granulari e ottimizzazione (pare che in UK il 46% delle media inventory dei retailer sia inefficiente); far lavorare fianco a fianco media e contenuti; aiutare i retailer a chiudere il gap con le vendite.
Aiutano tecnologie immersive e personalizzazione scalabile come mostra Trushna Chaobal, data science client solution strategist di Publicis Media Uk, con l’assistente virtuale che aiuta a scegliere il profumo più adatto sul sito del retailer Kohl’s.
IL PESO DELLA BRAND EQUITY. Tuttavia spicca un dato: il 70% delle conversioni a breve termine dipende dalla brand equity della marca, dalla relazione che essa ha saputo nel tempo costruire con la persona. Un indicatore che segnala come la industry abbia a lungo sopravvalutato schemi rigidi e metriche che appiattiscono verso il basso (ossessione della conversione, ctr ecc) trascurando il cuore di tutto: la relazione del cliente con la marca.
NO ALLA GUERRA, SI ALL’AMORE. Insiste su questo aspetto Giuliano Noci, professore del Politecnico di Milano, evidenziando come la marca debba rendersi rilevante sia nel medio che nel lungo periodo. Come? Lavorando sui ‘momenti d’amore’ con il consumatore, influenzati dallo spazio dove avviene l’interazione e dalla motivazione. Senza queste due condizioni a monte, non scatta nulla. Ai brand Noci suggerisce di sostituire la metafora militarista del “colpire il target con precisione” con un’altra ispirata alla fisica e alla forza di gravità: diventare massa critica capace di attrarre a sè le persone, recuperando una dimensione di intimità.