Ospiti di Brand News sul palco di IF! Valeria Surico, responsabile media di Danone, e Dario Chirichigno, Communication Consumer & Small Enterprise Market TIM, hanno spiegato perché il branded content & entertaiment sia un’opportunità che le aziende apprezzano sempre di più. Spronando anche le agenzie a fare di più per offrire competenze e qualità per lo storytelling della marca.
La possibilità di diffondersi su informazioni e contenuti che non possono passare dai 30” di uno spot TV, qualità eccellente nella forma e nella sostanza, l’opportunità di sperimentare tecnologie innovative che non esclude la leva della notorietà di un testimonial. Sono tante le caratteristiche di branded content & entertainment messe in luce da una ricerca realizzata da Brand News in collaborazione con Toluna e confermate, nell’incontro all’intrento di IF! moderato da Nicola Zonca, direttore di Brand News, dalle testimonianze di Valeria Surico, responsabile media di Danone, e Dario Chirichigno, Communication Consumer & Small Enterprise Market TIM.
Surico e Chirichigno concordano anche sulla complessità nella realizzazione di contenuti come forte barriera d’ingresso, non sulla criticità della misurazione dei risultati. “È comprensibile, ma solo fino a un certo punto, perché se stabilisci prima chiari KPI, le risposte le vedi comunque”, ha detto Chirichigno.
L’approccio al branded content per Danone è iniziato 3 anni fa, con un nuovo bilanciamento del media mix, prima quasi tutto centrato sulla TV.
“L’aggiunta di nuovi mezzi ci ha portati a ragionare in logica branded content, definizione che per altro abbraccia tantissime cose, tantissimi mezzi e modi di realizzarlo; abbiamo iniziato producendo contenuti per i social e native advertising, poi siamo approdati alla TV con una serie in partnership con Mediaset”, ha detto Surico illustrando un progetto più complesso realizzato con Discovery Media, nel contesto del riposizionamento del brand Activia, in partenza nelle prossime settimane e che amplia la platea di canali utilizzati.
TIM ha iniziato qualche anno prima, in occasione dei Giochi Olimpici di Pechino e grazie al fortuito ritrovamento la registrazione originale del discorso del Mahatma Gandhi già al centro di una fortunata e premiata campagna Telecom del 2004.
“L’abbiamo riversata in un ‘blorum’, metà blog, metà forum aprendo il dialogo con un pubblico cui di solito prima ci limitavamo a vendere tariffe e offerte, raccogliendo una reazione incredibile e spontanea che ha alimentato quella piattaforma per 2 anni”, ha ricordato Chirichigno. Imparato il meccanismo, poi anche la grande festa organizzata in occasione del lancio del nuovo brand ombrello TIM è diventato un programma rivenduto a un broadcaster.
“L’evoluzione dello scenario media influenza il tipo di contenuti, la velocità e la frammentazione in pubblici di nicchia spiegano buona parte del successo del branded content”, ha aggiunto Chirichigno, ma i fattori più coinvolgenti e distintivi rispetto all’advertising tradizionale sono l’empatia, l’engagement nei confronti della marca, il dialogo. “I confini stanno sfumando verso un’integrazione e amplificazione della comunicazione tradizionale”, ha spiegato il manager TIM snocciolando una lunga serie di operazioni – KMdifuturo, Liveacasatua, NOMA, FantaserieATIM, TIM Music Onstage Award – che passano fluidamente da un formato all’altro e da un canale all’altro.
Monetizzare il branded content si può. Surico e Chirichigno concordano sull’evidenza che il costo contatto della TV è imbattibile, così come sul fatto che il valore del contatto che si attiva con questo tipo di operazioni è decisamente superiore e il messaggio si ricorda di più.
Più difficile l’ipotesi di monetizzare il branded content, come si fa già spesso su altri mercati a cominciare da quello USA. Un esempio su tutti è Mondelez: “Se riesci a monetizzare i contenuti, aggiungi ricavi e immetti nuova energia nel media mix” commenta Chirichigno; un altro esempio è Chobani, concorrente di Danone sul mercato USA spiega Surico “che all’inizio si sono serviti delle migliori agenzie in circolazione, poi hanno aperto un’agenzia interna per sviluppare contenuti in proprio”.
Di certo “smettere di fare solo prodotto e produrre contenuti è un trend forte ed è il caso che l’industry dell’advertising ne prenda atto se non vuole rischiare di perdere questo treno della produzione di contenuti di qualità”, ha sottolineato Surico. Perché se è vero che una delle barriere all’ingresso di branded content & entertainment è la sua complessità, è anche vero che “è difficile trovare partner in grado di supportarci al 100% su tutta la filiera”. Finora, per entrambe le aziende, i partner migliori sono stati agenzie media e concessionarie dei publisher, mentre le agenzie creative sembra non siano ancora riuscite a interpretare il valore di questo fenomeno.
«Come è certo che l’azienda debba avere la regia dell’operazione, così anche sono necessarie le migliori professionalità. Un caso che fa eccezione è l’app Noma, No-mafia, che guida i cittadini sui luoghi degli attentati mafiosi, presenta le storie con realtà aumentata e video a 360° e propone itinerari per scoprire le realtà che aderiscono all’associazione Addiopizzo. L’abbiamo realizzata internamente, con il team della comunicazione di Milano e ingegneri di Torino, e conta 120mila utenti attivi al mese».