Sul palco del Wired Next Fest si discute di come il marketing stia cambiando in un contesto governato dai concetti di esperienza, tempo reale e dai dati da interpretare correttamente per capire il comportamento delle persone. Per tutto questo servono modelli organizzativi nuovi e nuove professioni
Siamo forse un po’ cyborg oggi che abbiamo tutti uno smartphone in tasca? Lo chiede dal palco del Wired Next Fest il direttore della testata Federico Ferrazza interrogando i partecipanti del panel ‘La scienza del marketing’ perché, se per l’umanoide il passo è ancora lungo, il marketing invece non può prescindere già oggi da azioni e comportamenti umani colti, elaborati e tradotti sottoforma di dato, utili solo se azionabili.
Nicola Novellone, Head of Brand & Advertising Vodafone Italia, spiega «Esperienza e tempo reale sono i due grandi assi del cambiamento. Catturare i dati non è un problema, lo è invece leggerli in una proiezione futura. Da dichiarativo, attraverso indagini e insight, il marketing è diventato behavioural. Il cambiamento è epocale: la pubblicità conta per il 15% sulla persuasione. Tutto il resto è determinato da altre regole che prima non esistevano».
Anche per Luca Vergani, CEO di MEC, ottenere i dati non è certo un problema. Lo è invece trovare il modo di renderli azionabili in tempo reale per raggiungere la persona giusta al momento giusto con il messaggio giusto. «Oggi è un problema trovare i profili professionali capaci di aggregare e gestire nuove fonti di dati, che nelle agenzie non ci sono mai stati. Le agenzie media fanno un po’ fatica ad attirare tecnologist e a trattenerli: in MEC abbiamo aggirato il problema, formando data scientist tra le persone che in precedenza si occupavano di econometria nel vecchio dipartimento ROI».
Sull’estrarre informazioni utili e azionabili nel giro di una settimana ha aggiunto che le aziende italiane, fatte le debite eccezioni, ne hanno compreso l’importanza. Il problema vero è che tutto il largo consumo non ha molti dati su cui lavorare perché intermediato dal retail. Quanto ai media, oggi il dato si estrae dai mezzi digitali ma a breve arriverà da qualunque mezzo e la tv sarà la prima: “in agenzia non si parla più di TV, ma di video in tutte le sue possibili declinazioni di usi e consumi”.
Una dimostrazione live di come funziona il neuromarketing, una delle tecniche utilizzate per misurare l’esperienza con criteri oggettivi, l’ha offerta Luca Schibuola, Head of Strategy dell’agenzia TSW: «Attraverso il neuromarketing possiamo misurare in modo oggettivo quanto è forte un’emozione, se è piacevole o spiacevole, misurando il grado di coinvolgimento nei micromomenti, in tempo reale».
Ma si tratta solo di uno degli approcci possibili: scettico ad esempio è Vergani “perché si tratta sempre di test in vitro, meglio le analisi predittive di Watson (IBM)”.
La saturazione del mercato dei contenuti renderà centrale il valore intangibile dei media brand
Con una punta di ironia, Fedele Usai, Direttore Generale Condé Nast Italia, fa notare che la crisi dell’editoria è nata dal troppo amore dei brand e delle persone per il mestiere dell’editore. «Tutti hanno un piano editoriale personale. Noi stessi con i clienti lavoriamo sulla base del contenuto, tanto che ci siamo trovati ad essere publisher tra i publisher. Si è ribaltato completamente il rapporto tra contenitore e contenuto: oggi è il contenuto la prima porta d’accesso verso il media brand. Come ci tuteliamo? Facendo il nostro mestiere, diventando ubiqui (e quest’evento ne è una prova), agendo su microtarget. Del resto, più il mercato dei contenuti si satura, più verrà intasato da prodotti di bassa qualità. Sarà così sempre più necessaria quella quota di intangibile del media brand: qualità, valore e professionalità».