Nascerà un nuovo ecosistema, basato sulla collaborazione. Non ci sarà un’unica metrica in sostituzione del GRP’s, secondo Giuliano Noci. Presto il Politecnico di Milano presenterà un suo prodotto, proponendosi come “centro di ricerca terzo a supporto delle imprese”
Il 73% degli investitori pubblicitari italiani conosce poco le ‘Attention Metrics’, il 10% non ne ha mai sentito parlare e anche le modalità di rilevazione di queste metriche sono poco note: solo il 10% degli investitori le conosce in modo approfondito, il 69% ne ha una conoscenza limitata e per il restante 21% non è nota alcuna metodologia.
È lo scenario definito dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano che ha approfondito il tema delle metriche dell’attenzione con un occhio alle evoluzioni della privacy e alla perdita dei cookie. Fare targeting in modo nuovo, secondo Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio, è l’elemento principale del cambiamento che pone l’accento sui dati di qualità e al fatto che questi, “finora delegati alla filiera del ‘biscottino’, tornano in mano ai marketer e alla marketing community”.
Per Noci nascerà un nuovo ecosistema, basato sulla collaborazione, come è già evidente nel retail media. Noci ha avvisato della necessità di andare oltre le logiche meramente quantitative “per trovare indicatori basati sui ‘deep data’ in grado di qualificare il processo di comunicazione”. Non ci sarà un’unica metrica in sostituzione del GRP’s, ha aggiunto, anticipando che presto il Politecnico di Milano presenterà un suo prodotto, proponendosi come “centro di ricerca terzo a supporto delle imprese”.
Tempo e coinvolgimento dell’utente acquisteranno maggior rilevanza rispetto alle visualizzazioni e se ancora sono poco note, quando i marketer italiani vengono a conoscenza di metriche e modalità di misurazione mostrano un elevato interesse e sebbene la loro adozione sia ancora agli albori, i trend di adozione mostrano dinamiche non trascurabili. Gli strumenti più diffusi, ad oggi, sono quelli di digital campaign delivery measurement, adottati dal 67% dei rispondenti, quelli di offline campaign delivery (28%) e brand tracking/pre-post test (27%). In futuro, si prevede una crescita dei sistemi di modelling e incrementali: il 35% e 36% dice di non utilizzarli ancora ma lo farà presto, mentre il 17% e 18% di chi ne fa già uso, ne aumenterà l’utilizzo.
Dialogare con gli annunci. Qualità del media, dinamiche di fruizione ‘forzata’, creatività e contesto sono i principali pilastri che stanno guidando le metriche dell’attenzione determinando l’efficacia di una campagna in termini di crescita del brand, ha spiegato Antonella La Carpia, VP Global Marketing Teads, intervenuta al convegno dell’Osservatorio. “La qualità è al cuore di questa evoluzione e della trasformazione del mercato, perché una campagna non efficace impatta anche negativamente sull’ambiente e sulle sales lift”, ha detto, sottolineando che gli advertiser sono sempre più aperti al confronto, nonostante gli investimenti siano sempre più ponderati. Oggi, ha aggiunto, “abbiamo sono le tecnologie per scalare questo approccio ed è ora di fare uno sforzo per far dialogare gli utenti con gli annunci in modo qualitativamente più efficace”.
Test e risultati. Elemento determinante per la diffusione delle nuove metriche sarà la capacità di verificare la correlazione tra maggiore attenzione e risultati di business. “I risultati ci sono, ma sono ancora piccolini”, ha sottolineato Mattia Meduri, Precision Advertising Manager di L’Oréal Italy, spiegando che l’attenzione viene utilizzata soprattutto “per comprendere meglio cosa, di quello che facciamo, abbia più valore”. Un test, con Havas Media e Lumen, è stato condotto nel Q4 2022 da GB Foods, i risultati però non sono ancora noti.
La privacy by default costa cara agli editori: secondo i dati dell’Osservatorio, gli editori hanno osservato nell’ultimo anno una perdita rilevante di dati che varia dal 9% al 15%, con punte più marcate fino al 35% per siti editoriali mass market. Un impatto sui ricavi pubblicitari che sta portando molti editori ad adottare il cosiddetto cookie paywall, sistema controverso anche perché trasforma l’accesso alle informazioni in un privilegio per ricchi.