Durante la presentazione dell’Annuario 2025 della Televisione Italiana a cura del Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi), i player del mercato hanno fatto il punto su un panorama complesso e sempre più stimolante
Il neologismo ‘streamcasting’, che identifica l’ecosistema in cui operano broadcasting televisivo tradizionale e streaming on-line, è ormai d’uso comune nel settore dei media e ora entra anche nel mondo accademico con l’edizione 2025 dell’Annuario della Televisione Italiana, a cura di Massimo Scaglioni, professore ordinario di Economia e marketing dei media e direttore di Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) dell’Università Cattolica.
Anche lo scenario ha promosso a sistema questa ibridazione, con gli editori televisivi chiamati a fare anche gli streamer e le piattaforme VOD che adottano logiche tipiche del broadcasting (per esempio, il co-viewing familiare), con le smart tv che sono oltre 22 milioni in Italia e la Total Audience ormai entrata a regime nella misurazione di Auditel. In occasione della presentazione dell’Annuario, specialisti e contributor dello studio hanno approfondito i vari aspetti dello scenario televisivo italiano, sia dalla parte dei player che del pubblico, passando per inserzionisti e produttori di contenuti.
Il consumo di tv in total audience vede, da settembre 2024 a maggio 2025, 8.730.000 spettatori medi nel giorno medio con una differenza di soli 100mila spettatori rispetto all’anno precedente (-1,2%, -1,6% se si considera solo la tv tradizionale). Si tratta di una sostanziale tenuta, rafforzata dagli sforzi dei broadcaster di rendere fruibili i propri contenuti on demand e su piattaforme terze.
La caratteristica unica della tv broadcast di saper raggiungere grandissime audience contemporaneamente e istantaneamente è stata evidenziata da Guido Mazzoccola, television audience measurement director di Nielsen, specie in occasione dei grandi eventi sportivi – certamente il calcio, ma oggi anche il tennis – e di richiamo mediatico: senza toccare le vette di Sanremo, la prima puntata della serie Sandokan andata in onda lo scorso lunedì sera ha raggiunto 6 milioni di persone. Certo ci sono variazioni nelle audience, specie considerando le fasce demografiche più giovani, ma non sono così sostanziali.
Lo conferma anche Fabrizio Angelini, AD di Sensemakers, che ha sottolineato come nel panorama televisivi non stiamo assistendo a “sconvolgimenti epocali”, in un momento in cui il mercato si sta ancora riequilibrando dopo la Pandemia.
Quella della migrazione di massa verso le piattaforme pare una narrazione confutata dai dati, confermata anche dal fatto che fruizione multidevice e nuove forme di consumo appaiono ancillari – per quanto strategiche – rispetto al lineare. Ad esempio, il 93% del tempo speso su bvod è sui contenuti integrali, non su quelli brevi prodotti appositamente per il second screen, i quali hanno dimostrato di avere un ciclo di vita piuttosto breve, a fronte di costi di produzione non indifferenti. Non solo: tra i 100 programmi più visti, solo 30 erano digital first o digital only. Ciò non toglie che i broadcaster debbano investire in modo strategico sul social video (TikTok, YouTube, Instagram): ad esempio, un’analisi sull’impatto incrementale della Rai nell’ambiente social ha visto crescere l’audience del 15%.
Focus sugli over 65. Nora Schmitz, head of audience measurement and media development di Ipsos, ha puntato l’attenzione sul pubblico delle persone dai 60 anni in su, colpevolmente trascurate dagli inserzionisti a favore dei target più giovani, anche se il loro peso sulla popolazione generale aumenta e i redditi a loro disposizione siano consistenti. Si tratta di 6,9 milioni di persone tra i 65 e i 74 anni su cui pesano tanti stereotipi, caratterizzati dalla spiccata attitudine digitale e da una dieta mediatica decisamente varia, che li avvicinano più alle generazioni precedenti che agli 80enni.
Altri insight emersi dalla tavola rotonda riguardano i driver di crescita della produzione televisiva che, secondo Emilio Pucci, direttore di eMedia, ha toccato i 2,1 miliardi di euro e fin ora è stata guidata dalla domanda di nuovi contenuti, favorita dal tax credit e dall’arrivo delle piattaforme svod, mentre in futuro sarà sostenuta più del prodotto televisivo, con crescenti investimenti in qualità, talenti e IP. Non deve mancare l’attenzione all’AI e ai contenuti sintetici post-autoriali, che si prestano a violazioni di diritti d’autore e responsabilità difficili da attribuire.
Raffaele Pastore, direttore generale di Upa, ha sottolineato il vantaggio per gli inserzionisti dell’ avere digital video, streamer e broadcast tv che si incontrano in un unico schermo, su cui è possibile incrementare la reach, ottenere target più granulari e formati accattivanti. Resta il problema della corretta misurazione, assicurandosi di eliminare le impression erogate, paradossalmente, a tv spenta.
Alberto Dal Sasso, managing partner di Adjinn, ha infine sottolineato le opportunità per gli inserzionisti mentre pianificano primo e secondo schermo, che insieme valgono il 55% del mercato pubblicitario. La pianificazione della CTV ha parecchie somiglianze con quella della tv lineare in parecchi settori merceologici, mentre nella ‘digital tv’ si trova una maggiore spinta su sperimentazione e creatività. Non si tratta di modelli alternativi, ma di una sana omnicanalità che permette agli advertiser di sperimentare nuovi modi di raggiungere il proprio pubblico e insieme stimolare la reach.
La tavola rotonda degli ‘streamcaster’ ha visto poi confrontarsi Eleonora Andreatta, vp of italian content Netflix; Stefano Coletta, direttore coordinamento generi Rai; Federico Di Chio, direttore marketing strategico Gruppo Mediaset; Andrea David Rizzi, head of media & support partnership Italy & Portugal YouTube, su cui ogni mese 23 milioni di utenti unici guardano contenuto su CTV.
Andreatta ha spiegato come la piattaforma, in Italia da 10 anni, abbia subito iniziato a investire sul contenuto originale italiano e modificato le proprie strategie per interessare una base di abbonati diversificata e stimolare il co-viewing familiare, con generazioni diverse che condividono intenzionalmente contenuti per dare vita a un dialogo.
«I prodotti locali sono pensati in primo luogo per il nostro Paese, appetibili a un pubblico sempre più competente e selettivo, considerando insieme l’opportunità di varcare i confini e di integrarli nell’offerta globale di Netflix» ha detto, sottolineando la necessità per i contenuti di tenere insieme un pubblico ampio e insieme di stimolare innovazione e coraggio per essere distintivi. L’esempio è quello delle serie di Zericalcare e di Lidia Poet, “contenuti stratificati con un primo livello più semplice e accogliente, di intrattenimento puro e leggero, e un secondo che lavora sul linguaggio e la messa in scena, con un gioco di rimandi tra generi diversi e riferimenti culturali, linguistici e meta-narrativi.”
Grande capacità di orchestrazione è stata infine sottolineata da Di Chio e Coletta, riguardo i contenuti che non nascono più per essere distribuiti su una singola piattaforma ma anche su on demand e social. «Il nostro metodo è cambiato per far trovare i nostri contenuti dal pubblico giusto nel momento giusto qualunque sia lo schermo che scelgono» ha detto Coletta, citando l’exploit di Mare Fuori.
F.B.








