Cosa piace ai nativi digitali? Cosa chiedono ai brand? Come si sviluppa il loro interesse? Il secondo appuntamento dedicato agli insight di Z Factor, la ricerca di Havas Media e ZooCom sulla Generazione Z, approfondisce la relazione con i brand e il ruolo degli influencer
Per emergere dall’enorme mole di contenuti dati in pasto ai social e catturare l’attenzione della Generazione Z i brand devono essere distintivi, quasi dirompenti.
La ricerca quali-quantitativa Z Factor di Havas Media e ZooCom, che indaga su comportamenti, stili di vita, fruizioni mediali e ruolo dei brand nella vita della Generazione Z, ha raccolto attraverso 12 focus group con 72 ragazzi in 4 città del Nord, del Centro e del Sud una quantità enorme di espressioni spontanee: tra queste anche molte citazioni di brand che si distinguono per aver saputo diventare fonte di ispirazione e punti di riferimento grazie a un’identità chiara e uno storytelling ben definito in cui la sorpresa, il sogno, lo stupore e l’effetto ‘wow’ giocano un ruolo importante.
L’asticella della memorabilità è spostata sempre più verso l’alto e per emergere dal rumore di fondo, notano gli estensori della ricerca, avere un’ottima idea non basta se non si è capaci di cavalcare l’ultimo trend e, soprattutto, restare coerenti con l’immagine e il racconto della marca.
“Z Factor ha messo in chiaro che questa generazione sta crescendo con un approccio al mondo digitale e dei media totalmente diverso e molto più sofisticato delle generazioni che li hanno preceduti. Le aziende che vogliono avere una conversazione con questi ragazzi devono partire da qui per adeguare il proprio approccio ed imparare una lingua nuova che nel tempo diventerà mainstream”, sottolinea Guido Surci, Chief Sports & Intelligence Officer di Havas Media.
L’approccio dei brand ai social, luogo privilegiato di questa relazione, fino a qualche anno fa è stato quello del palinsesto: modello mutuato dalla televisione, prevedeva la strutturazione in una serie di stream di comunicazione disegnati sui mondi affini ai target in una logica di appuntamento che manteneva intatta la comfort zone della comunicazione di marca.
Oggi non è più possibile ragionare in questi termini, perché l’attenzione degli utenti è catalizzata ogni giorno su appena un paio di temi di discussione e mediamente il numero di brand seguiti dalla Generazione Z – senza grandi differenze tra i 3 diversi cluster d’età – non arriva a 20 marche, e più giovani si è minore è il numero di brand seguiti. Solo una piccola minoranza, intorno al 9%, dichiara di seguire più di 40 brand. Abbigliamento, sport, cibo e bevande sono le tipologie più amate.
“Identità, ispirazione, espressione di sé, prossimità e condivisione. Sono tutti aspetti che la Generazione Z si aspetta dai comportamenti e dai linguaggi di brand e aziende che vogliono entrare in contatto con essa. Non solo: i genitori di oggi non vogliono accettare il fatto di diventare totalmente ‘adulti’ e si fanno influenzare dai loro figli adolescenti per tutto quello che riguarda prodotti, app, servizi e trend dell’ultimo momento”, sottolinea Diego De Lorenzis, Head of Strategy & Operations in ZooCom.
Contenuti di qualità attirano l’attenzione più di ogni altra cosa: si tratta di contenuti impegnativi dal punto di vista produttivo, sottolinea la ricerca, ben lontani da gift e card sufficienti solo qualche anno fa. La soglia di attenzione della Generazione Z non solo è più bassa di quella dei Millennial, ma è anche ulteriormente complicata dalla modalità di fruizione dei contenuti, tra doppio schermo e continue interruzioni che interrompono il flusso.
Per questo originalità vuol dire visibilità e apprezzamento, accompagnata da un alto livello estetico, allenato da una comunicazione sempre più visiva. Alla domanda ‘quale brand ti viene voglia di acquistare’ sui social, la risposta comune è quello con una bella pagina Instagram da cui prendere ispirazione.
È importante anche uno storytelling ben strutturato, che racconta con una logica coerente e con continuità la storia del marchio e la sua evoluzione.
Il canale per eccellenza dei brand è Instagram: è quello su cui si sviluppa l’intention to buy, si raccolgono le informazioni sui prodotti e si pianifica l’acquisto. È anche il canale degli influencer, seguiti perché pubblicano contenuti interessanti, hanno uno stile distintivo cui ispirarsi – soprattutto gli under 18 -, orientarsi in un mondo in perenne trasformazione, vedere i prodotti di cui sono endorser.
La pratica dell’influencer marketing si sta dimostrando sempre più imprescindibile nelle strategie di comunicazione dei brand, perché gli influencer rappresentano modelli comportamentali, aspirazionali, pratici, basati sulla competenza e per questo hanno un impatto sulle scelte d’acquisto dei follower. Ma è anche vero che agli influencer, in una logica molto ‘orizzontale’, non si perdona nulla come agli amici, soprattutto quando la presenza dei brand sui loro profili diventa troppo esplicita, fuori luogo e invadente.
Influencer della porta accanto. Sui social lo scambio e la relazione sono fondamentali, ma a differenza dei Millennial la Generazione Z guarda con sospetto l’asimmetria da star system e chiede un approccio alla pari: apprezza il contenuto dell’influencer, ne commenta un’immagine e replica a una story perché si aspetta che faccia altrettanto.
La parola chiave è autenticità, i giovani ne appaiono ossessionati, rifuggendo da comunicazioni esplicitamente pubblicitarie, così come non sempre i ‘big’ influencer – a cominciare dai ‘Ferragnez’ – piacciono perché intasano i feed di contenuti e tolgono spazio a quelli della sfera, più vicina e più intima, di amicizie.
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