I driver di crescita degli investimenti pubblicitari sono essenzialmente 3, ma hanno pesi molto diversi tra loro: digital, OOH e cinema. Secondo le stime di UNA, gli OTT pesano circa il 76% degli investimenti digitali.
Con una stima che comprende anche i ricavi del calcio Serie A su Dazn e della Champions su Amazon Prime Video (che non hanno confermato né smentito le stime, ndr) e una metrica comune e confrontabile, frutto dei tavoli di lavoro avviati quest’anno, il Media Hub di UNA ha presentato l’aggiornamento delle stime di mercato per il 2022.
Con un valore complessivo di 8,3 miliardi di euro, considerando tutti i mezzi al ‘net net’ (cioè al netto di agenzia del 15%) e con caratteristiche di grandi volatilità, UNA proietta la chiusura dell’anno a +0,9%, “figlio di mercati instabili che vedono alcuni settori assenti” (Automotive ed Eldom per la crisi della supply chain e, dalla guerra in Ucraina, anche gran parte del largo consumo), ha spiegato Federica Setti, portavoce di UNA Media Hub.
Si tratta di una media tra un primo trimestre positivo e secondo e terzo negativo, anche per il confronto con la presenza degli Europei di Calcio 2020.
Uno scenario caratterizzato da forte volatilità che rende difficile fare previsioni sicure, un contesto fluido per operatori della comunicazione e investitori pubblicitari, dove i confini tra i mezzi non esistono più e le definizioni utilizzate tradizionalmente sono sempre più labili e sottili. Anche per questo tra i progetti del Media Hub c’è anche quello di ridistribuire quella parte ‘digitale’ che attiene ai media tradizionali riallineando i ricavi in capo agli editori e non più al formato.
I driver di crescita sono essenzialmente 3, ma hanno pesi molto diversi tra loro: digital, OOH e cinema. Secondo le stime di UNA, il Digitale vale 3.9 miliardi di euro con una crescita del 4,5% trainata prevalentemente dagli OTT che pesano circa il 76% degli investimenti digitali. L’OOH è prevista in crescita del 9,4% e il cinema del 43,3% ma su numeri molto piccoli. Per la TV il Media Hub prevede un decremento del 2,8% rispetto al 2021 che però non scalfisce la centralità del mezzo con una raccolta superiore ai 3,3 miliardi di euro.
Il mercato pubblicitario si sta quindi concentrando sempre di più su digital e TV che da soli valgono l’86% e, nella stima ‘net net’, il digital con il 47% conquista una quota superiore alla TV, suddivisione che si riequilibra scorporando la ‘coda lunga’ del mercato, ovvero piccolissime e micro imprese che accedono al mercato pubblicitario attraverso piattaforme self-service e non sono contendibili per i player tradizionali.
La Media Cost Inflation, tema sempre più importante soprattutto nella gestione dei rapporti con gli auditori, è stata adeguata introducendo un ulteriore passaggio metodologico, oltre il sistema di calcolo ponderato, per normalizzare l’impatto del Tusmar sulla TV e ottenere una lettura coerente delle tendenze di costo di mercato dei diversi media.
Stampa a parte, nei primi 4 mesi dell’anno la media cost inflation è in crescita su tutti i mezzi, con incrementi più elevati sulla TV per la combinazione di listini in crescita e audience in calo.
Flessioni importanti perché si confrontano con un periodo di grandi ascolti, ha spiegato Setti. Dalla crescita a doppia cifra (+12,7%) dei primi 4 mesi dell’anno, la media cost inflation della TV nei 12 mesi dovrebbe attestarsi a +7%, dimensione guidata dall’incertezze legate al conflitto in Ucraina e alle possibili conseguenze sull’economia reale.
Per quanto riguarda il digital, anche per il 2022 si stima un’inflazione positiva, rispettivamente del 2,7% sulla display e del 3,4% sul video, trainata principalmente da un inizio d’anno positivo, mentre sulla radio la stima è di un incremento del 2,2% e sull’OOH del 2%, ma molto dipenderà dall’andamento della domanda.