Circa 200 industrie associate, 2.400 marchi, 64 miliardi di euro di giro d’affari e 97mila occupati: forte di questi numeri, nel corso dell’assemblea annuale di Centromarca il presidente Francesco Mutti ha presentato le priorità dell’associazione.
Una politica industriale che favorisca fusioni e acquisizioni, perché la taglia delle imprese italiane “ci penalizza sul mercato globale”, più risorse da parte del governo per sostenere digitalizzazione e sviluppo sostenibile, leggi chiare e controlli rigorosi per combattere l’illegalità, no a nuove tasse sui consumi e a qualsiasi ipotesi di rafforzare quelli esistenti, perché deprimerebbero i consumi.
“Siamo il comparto responsabile che ha evitato – ogni impresa per quanto le era possibile – di scaricare a valle istantaneamente i pesanti aumenti esogeni di costo che in questi anni sono piovuti sui nostri conti economici”, ha ricordato Mutti, ribadendo che anche in una fase critica, l’industria di marca ha mantenuto o potenziato gli investimenti per R&D, digitalizzazione e sostenibilità.
Su quest’ultimo tema hanno insistito due panel di discussione, smontando l’idea che la sostenibilità sia un “passpartout retorico”: Paolo Barilla (VP Gruppo Barilla), Roberto Leopardi (Group Ceo e general manager Bolton), Mara Panajia (Presidente e AD Henkel Italia) e Veronica Squinzi (AD Gruppo Mapei) hanno sostenuto che non si torna indietro.
“Potrà cambiare il come, ma non il cosa”, ha detto Panajia difendendo la scelta della sostenibilità che “non è un costo, ma un investimento”.
Scelte premiate, almeno a parole, dai consumatori stessi: per una ricerca del Censis l’89% degli italiani premia le aziende che non sprecano acqua, l’88% chi rispetta i diritti di lavoratori e fornitori, l’82% chi si impegna sulle energie rinnovabili. “Vengono premiate le aziende che dicono quello che fanno e fanno quello che dicono”, ha sottolineato Massimiliano Valerii (DG Censis).